Per assicurare la fertilità, i mammiferi producono cellule germinali (i gameti) attraverso complicati processi biologici non ancora del tutto definiti. L’uovo maturo nelle femmine dei mammiferi è ottenuto attraverso l’ovogenesi, un meccanismo biologico composto da tre fasi: la moltiplicativa, l’accrescitiva e la maturativa. Gli ovociti che si formano attraverso queste fasi derivano da cellule primordiali chiamate ovogoni, che iniziano a dividersi fin dalla decima settimana di sviluppo embrionale e daranno origine agli ovociti, che completeranno la maturazione poi dopo la pubertà.
Si tratta di un processo estremamente complesso: da un pool iniziale di circa 7.000 follicoli ovarici (il compartimento in cui viene mantenuto l’ovocita) alla 15° settimana, si giunge a circa 1400 alla nascita. Soltanto 400 degli ovogoni iniziali giungono a maturazione completa nell’arco della vita di una donna. L’attività riproduttiva femminile è quindi condizionata da questo limite biologico che termina con la menopausa (meccanismo biologico protettivo per la donna e per la specie umana).
L'atteso successo
Una ricerca coordinata dalla Prof.ssa Evelyn Telfer (Università di Edimburgo), che da 30 anni studia il processo dell’ovogenesi, ha dimostrato recentemente che è possibile far sviluppare ovociti umani in provetta fino allo stadio maturativo e quindi potenzialmente pronti per la fecondazione.
Era un risultato atteso da tempo: dopo i primi esperimenti ottenuti con successo in altri mammiferi come il topo e il maiale, alla fine è arrivato il successo nell’uomo. La ricerca, al pari di scoperte di analoga portata, è stata accolta dalla comunità scientifica con un ‘eureka!’ da parte degli scienziati e commenti preoccupati espressi dai bioeticisti.
Circa una donna su 20, oggi, ha un problema di fertilità dovuto a cause acquisite o genetiche e molte di queste riguardano proprio la qualità e la quantità di ovociti prodotti. Questa ricerca senza dubbio permetterà di comprendere alcune di queste cause e cercare nuove cure, nuove vie per la maternità. Ad esempio, gli ovociti coltivati in provetta potrebbero essere d'aiuto alle donne infertili o che soffrono di insufficienza ovarica precoce. È possibile inoltre che questo passo avanti della scienza permetterà a donne affette da tumore (soprattutto le più giovani) di preservare la possibilità di avere dei figli dopo avere affrontato la chemioterapia o la radioterapia.
In seguito alla legge 40/2004, che vieta il congelamento degli embrioni, la crioconservazione degli ovociti rappresenta l’unica alternativa per queste donne. Ma il processo di congelamento degli ovociti umani non è semplice, e comporta anche rischi per la sopravvivenza della cellula in seguito al raffreddamento e riscaldamento. Pertanto la possibilità di far crescere cellule primitive prelevate dallo strato più superficiale del tessuto ovarico (il tessuto ovarico è infatti oggi crioconservabile), aiuterebbe e non poco la possibilità di ottenere anche dopo anni ovociti di buona qualità.
Il senso di ogni 'eureka!'
Il prossimo passo, però, sarà verificare se gli ovociti maturi ottenuti in provetta siano qualitativamente buoni per la fecondazione. È infatti necessario adesso attendere altri esperimenti per valutare se il cocktail chimico utilizzato per far maturare gli ovociti non abbia danneggiato il DNA della cellula. Ma per questo non credo che dovremo attendere 30 anni!
In questi giorni in Italia si ricorda il Prof. Gaetano De Sanctis, grande intellettuale e Senatore. In una delle sue lezioni terminali all’Università affermava: “Scopo dei professori universitari è far progredire la scienza, insegnare a far progredire la scienza… È una funzione altissima e nobilissima riservata ad essi, che costituisce la grandezza e l’importanza dell’insegnamento universitario”. È questo, in sintesi, il significato di ogni nostro ‘eureka!’: il progredire della scienza, assieme alla formazione di una nuova generazione di scienziati, è la strada maestra per il progresso dell’uomo, nel rispetto della vita e per un benessere maggiore, per tutti.