La seconda serata del Festival di Sanremo si apre con l’ingresso lato platea di Amadeus, con grande sorpresa di chi ancora non ha capito che il Festival di Sanremo lo presenta Amadeus. Fiorello aveva promesso di entrare vestito da Maria De Filippi nel caso gli ascolti si fossero rivelati soddisfacenti, gli ascolti vanno molto bene e lui mantiene.
L’effetto è effettivamente esilarante, Fiorello è tutta un’altra storia, la gag è evidentemente organizzata, o perlomeno c’è rimasto incastrato dopo la promessa di ieri, ma non importa, lui fa tutto con una professionalità e dei tempi che nessuno in Italia possiede. Fiorello non fa niente eppure fa tutto, e quando non fa niente sembra fare ancora di più. Non riusciamo ad immaginare come sarebbe stata la televisione italiana senza Fiorello, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, ma dato che c’è ora toccherebbe clonarne un paio e sparpagliarli nel palinsesto della tv italiana.
La canzone/gag “La classica canzone di Sanremo” per esempio, è pura e raffinatissima satira meta-sanremese; il ruolo dello showman siciliano è chiaro: smontare tutti i rituali bilanciando così il falso ingessamento dell’amico Amadeus.
Anche questa sera i primi a suonare sono i giovani, partono Gabriella Martinelli e Lula con “Il gigante d’acciaio” che si scontrano con Fasma e la sua “Per sentirmi vivo” che passa il turno e contemporaneamente vince il premio come peggio vestito nella storia del Festival di Sanremo, e vincerlo subito dopo l’uscita di Fiorello vestito da Maria De Filippi è un colpo di tacco niente male; la canzone comunque funziona e lui la interpreta bene.
Seconda sfida per accedere alle semifinali della categoria che parte con “Billy Blu” cantata da Marco Sentieri, la scelta di vestirsi come un bullo per cantare una canzone contro il bullismo lascia perplessi. La canzone di Matteo Faustini “Nel bene e nel male” parte con una domanda che ogni uomo si è sentito porre almeno una volta nella vita: “hai mai fatto l’amore con gli occhi?”, e a porcela era solitamente nostra madre e seguiva la raccomandazione “guarda che diventi cieco!”.
A passare è Marco Sentieri, tra i due pezzi non c’è evidentemente sfida. Commovente il saluto a Fabrizio Frizzi, doveroso, perché se c’è una cosa che questo festival targato Amadeus ci sta insegnando è che la tv è un mestiere e c’è chi lo sa fare e chi no; Claudio Baglioni, per esempio, che aveva fatto scelte musicali forse un tantino più azzardate e affascinanti, no; Amadeus non sarà Jimmy Fallon, e probabilmente nemmeno Alessandro Cattelan, ma il suo mestiere lo sa fare, con garbo, che è una scelta stilistica adeguata all’occasione. Frizzi, in questo senso, manca assai.
Capitolo donne: l’esperimento di smontare i personaggi seriosi di Emma D’Aquino e Laura Chimenti, volti del Tg1, mettendoli a confronto col palco dell’Ariston è interessante ed è perfettamente in linea con l’idea di valorizzazione dei personaggi femminili che Amadeus ha ampiamente spiegato.
Divertente il passaggio di Sabrina Salerno in versione sorella minore di Anna Tatangelo; Amadeus sostiene di aver avuto per anni un suo poster in camera, come tutti quelli della sua generazione, e tutti, sospettiamo, a ben ragione, ci facevano “l’amore con gli occhi”.
Nel primo intervento Tiziano Ferro canta la meravigliosa “Perdere l’amore” con Massimo Ranieri, scatta la standing ovation ma nessuno si preoccupa dell’effetto “Ritorno al futuro”, Massimo Ranieri è indubbiamente Tiziano Ferro da vecchio e nel capolavoro di Zemeckis Doc ci spiega che averli nello stesso posto potrebbe far implodere l’universo.
Va bene lo show, ma non scherziamo con le cose serie, potrebbero succedere cose dell’altro mondo, tipo che all’improvviso spuntano fuori i Ricchi e Poveri, di nuovo in quattro dopo quarant’anni, cose fantascientifiche….ecco, appunto. Con tutto il bene del mondo, la reunion dei Ricchi e Poveri non smuove di un centimetro alcunché nella musica italiana, non condividiamo l’utilizzo della parola “evento”, non l’aspettavamo e domani ce ne saremo dimenticati, ma l’effetto vintage delle canzoni è tanto nostalgico quanto coinvolgente.
Un po' come il riscatto di Zucchero che torna su quel palco che non lo capì relegandolo ultimo 35 anni fa. Bel momento se non arrivasse oltre la mezzanotte quando ancora devono esibirsi la metà degli artisti in gara.
Piero Pelù – “Gigante” – Voto 5,5: Ascoltare Piero Pelù cantare questa canzone, inequivocabilmente minore, quasi inesistente e mortificante rispetto al repertorio Litfiba, è come beccare i propri genitori fare qualcosa di imbarazzante tipo ballare ubriachi la Macarena, non è che uno smette di volergli bene, è che è una cosa che preferiresti non vedere mai, tutto qui; poi gli si vuol bene lo stesso.
Elettra Lamborghini – “Musica (e il resto scompare)” – Voto 1: Esibizione che ricorda quella delle concorrenti dei concorsi di bellezza nei centri commerciali di provincia. Paradossale la scelta del titolo, in realtà è la musica che scompare e resta tutto il resto, e per apprezzare quello che resta, tra l’altro, bisogna avere dei gusti anche piuttosto kitsch.
Enrico Nigiotti – “Baciami adesso” – Voto 3: Quell’aria da Gianluca Grignani che non ce l’ha fatta non aiuta di certo a farci digerire un brano brutto che lui canta anche male. Ramazzotti e la Nannini si affidano a lui per qualche testo e chi siamo noi per dire a Ramazzotti e alla Nannini a chi affidare i loro testi, ma forse è meglio fermarsi lì, perché quando esce allo scoperto non fa una bella figura.
Levante – “Tikibombom” – Voto 5: Levante è una bravissima artista, importante la sua presenza a Sanremo in un momento in cui le donne che riescono ad imporsi (col pubblico, unico giudice finale) sono pochine. Ma la sensazione è quella della chance sprecata; la ragazza siciliana sa fare decisamente di meglio e la scelta di un brano del genere, con un titolo degno della peggiore Elettra Lamborghini, ci spiazza. In più il debutto è anche sfortunato perché non canta benissimo. Noi comunque ci crediamo ancora e la aspettiamo alla prossima esibizione. Se lo merita.
Pinguini Tattici Nucleari – “Ringo Starr” – Voto 7: Amadeus gioca a carte scoperte. I Pinguini sono la quota indie dell’edizione e menomale che in fase di costruzione del cast ne ha considerato l’esistenza. I Pinguini Tattici Nucleari, dati alla mano, sono gli unici concorrenti in gara a presentarsi sul palco dell’Ariston con un sold out già incassato al Forum d’Assago di Milano per fine mese, roba che il 90% (e siamo buoni) del resto del cast, mai ha visto e mai vedrà nella vita, perlomeno lato palcoscenico. La canzone è divertente, loro la suonano bene, senza farsi impressionare dal battesimo dell’Ariston, e già per questo meritano un applauso. Fa enorme piacere constatare come il Festival di Sanremo possa ancora essere un premio alla fine di un percorso, un premio per chi passa anni a buttare sangue nei club di provincia della penisola tutta, collezionando letteralmente centinaia e centinaia di date. Fino a diventare questo. Una favola. Bravissimi.
Tosca – “Ho amato tutto” – Voto 9: In tempi in cui i trapper si divorano le classifiche, la delicatezza di Tosca è quasi rivoluzionaria. La canzone è splendida e lei la canta in maniera perfetta, con una classe che sotterra letteralmente tutti. Tosca non si adegua, Tosca se ne frega, entra con la sua sobrietà, canta meravigliosamente bene, ci toglie il fiato per qualche minuto e poi va via; e dietro quelle quinte c’è un lavoro di ricerca lontano dalle luci della ribalta che rimanda con garbo al mittente. La musica è questa, felici che ci sia qualcuno a ricordarlo. Attenzione, se questa magia buca lo schermo potremmo ritrovarcela in alto e sarebbe una vittoria, per tutti.
Francesco Gabbani – “Viceversa” – Voto 6,5: Strutturalmente “Viceversa”, dal punto di vista musicale e, soprattutto, testuale, è superiore a quell’”Occidentali’s Karma” con il quale nel 2017 il cantautore carrarese si è portato a casa il festival. Il problema è che ai tempi giocava praticamente contro nessuno, in un oceano di noia assoluta la sua scimmia danzante rinfrescava occhi e orecchie; quest’anno la sfida è decisamente più ardua. Dalla sua c’è un’autenticità esemplare che ce lo rende molto simpatico. Chissà se basterà.
Paolo Jannacci – “Voglio parlarti adesso” – Voto 4,5: Il mezzo punto in più è di simpatia, perché il ragazzo è un musicista preparatissimo e porta sul palco un garbo apprezzabile, ma, come si evince chiaramente dalla sua ancora modesta produzione da cantautore, non da i numeri.
Rancore – “Eden” – Voto 7,5: Una delle migliori canzoni del Festival, ingiusto mandarlo sul palco al debutto alle 00:45. Il valore di Rancore è la serietà, la pienezza del suo scrivere. Non è facile comprenderne a pieno la grandezza, come d’altra parte accade sempre con le cose più belle, ma basta entrare nel suo mondo, cosa consigliatissima, per rendersi conto che ancor prima di avere a che fare con un grande rapper, ci si trova dinanzi un grande autore. Fa parte di una generazione di fenomeni che riabilita il rap lì dove merita di stare, alla porta del grande cantautorato italiano, a prendersi lo scettro. I migliori talenti della musica italiana al momento stanno lì, e tra questi c’è Rancore.
Junior Cally – “No grazie” – Voto 6,5: Ecco, avete visto che avete combinato? Ora Junior Cally, artista con evidenti limiti, che non ha azzeccato un brano che sia uno fino a questo momento, dipinto a forza come un mostro per settimane, ci risulta simpatico. E anche un brano che probabilmente sarebbe passato ampiamente inosservato, su quel palco assume un senso preciso, quasi politico, che lo riabilita come musicista ben oltre i suoi reali meriti.
Giordana Angi – “Come mia madre” – Voto 5: La giovane ex concorrente di “Amici di Maria De Filippi” entra in scena quando ormai ci si è convinti che non esiste un mondo fuori dall’Ariston, non esiste un tempo oltre questa puntata del Festival. Forse per questo la Angi manda al suo posto a cantare Dolcenera. La canzone è banalotta, non resta.
Michele Zarrillo – “Nell’estasi o nel fango” – Voto 4,5: Zarrillo aumenta il ritmo ma resta sempre Zarrillo, non si può sfuggire da questo, nemmeno oltre l’01:20 del mattino, quando viene probabilmente svegliato e mandato sul palco e il mondo là fuori ci sembra un limbo dove paradigmi si annullano e non c’è alcuna salvezza. La canzone è molto debole, il titolo sembra più una domanda e la risposta sarebbe impietosa.