L’ultimo album in studio di Emanuela Trane, in arte Dolcenera, risale al 2015. Per chi se ne fosse dimenticato o fosse troppo piccolo per ricordarselo, cantautrice di grande talento e dalle 150 mila copie vendute. 150 mila copie vendute, sempre per chi fosse troppo piccolo per ricordarselo ed ora vedesse in like e download le uniche unità di misura degne di nota, significa centocinquantamila persone che escono da casa, si recano in un negozio di dischi e aprono il portafoglio per acquistare la copia di un album. Numeri al momento fisicamente impossibili da ripetere.
Cinque partecipazioni a Sanremo e nel 2005 vincitrice di un reality, uno dei pochi degni di nota, “Music Farm”, durante il quale ci regalò diverse gioie con il suo flirtare smaliziato che fece perdere la testa a Francesco Baccini; quando ancora ovviamente non potevamo avere idea di quali tremendi inferi culturali il genere in questione ci stesse prospettando. Nel 2016 coach nel talent “The Voice of Italy”, quando a quegli inferi culturali non solo ci eravamo arrivati ma li avevamo anche arredati Ikea.
Ma perché tornarne a parlare di lei e perché proprio oggi? Semplicemente una nuova uscita? Spulciando Spotify effettivamente ci si rende conto che tutta una generazione di cantautori italiani, più o meno bravi, che più o meno emozioni ci hanno dato in quel decennio sciagurato per la musica italiana a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, che credevamo fossero finiti in disgrazia o gestori di trattorie di periferia, vivono ancora e lottano con noi. Solo che noi, a ben ragione o meno, rinnegando i nostri orrendi gusti adolescenziali, abbiamo deciso di dimenticarci di loro.
Ed è qui che rientra di prepotenza nella storia Dolcenera, che quel suddetto decennio l’ha imboccato di gran carriera e contromano. Perché negli ultimi giorni spopola tra le pagine Facebook dedicate al settore trap/Indie, che orgogliosamente seguo per restare aggiornato e per capire di cosa si sta parlando quando un qualsiasi ventenne apre bocca, l’immagine della copertina di un presunto ultimo album della cantautrice pugliese tratto proprio da Spotify.
Per chi non si sforzasse come me di restare maledettamente giovanile nonostante la panza di birra, vi assicuro che l’opera di Dolcenera non è solito argomento di discussione in queste pagine. E allora perché “Regina Elisabibbi”, questo il titolo dell’uscita, sta facendo discutere così appassionatamente i minorenni italiani? Perché Dolcenera ha deciso di incidere, pianoforte e voce, i più cliccati brani della scena trap. Operazione geniale. Dark Polo Gang, Sfera Ebbasta, Capo Plaza, perfino Young Signorino, Ghali, tutti messi in riga dalla voce di una professionista dalla tecnica indiscussa.
Dolcenera sembra divertirsi nel ruolo della dissacratrice della trap che finisce per “trappare” se stessa nell’ottava traccia, “Un altro giorno sulla terra”, che invece è sua, da il titolo al suo vero prossimo album di inediti e riprende le sonorità del genere che in questo momento, nel mondo e non solo in Italia, si aggiudica non le prime ma tutte le posizioni di qualsiasi classifica voi possiate reperire online. Che l’album (che non è dunque un album vero e proprio ma solo la raccolta di questi esperimenti che già da qualche mese raccolgono consensi su YouTube) oltreché operazione musicale e commerciale sia schiaffo morale ad una generazione di ragazzetti gettati frettolosamente ai vertici dello showbiz musicale, senza, spesso, che siano musicisti preparati o che, perlomeno, posseggano contenuti tali da giustificare tale devoto seguito, la cantautrice non lo ammetterà mai.
Ed è giusto così. Resterà forse un sogno di noi over 30, una rivincita da attempati sfigati. Dolcenera invece giustifica questo lavoro come una sorta di sfida a trovare poesia e intuizioni musicali anche laddove pare più difficile trovarle. Come quei cuochi stellati che aprono il frigo e sono in grado di tirar fuori un piatto gourmet con una buccia sospettosamente ingiallita di Galbanino, una confezione di feta greca scaduta e una bottiglia di Sprite sgasata. Il risultato, come nel caso di “Regina Elisabibbi”, può far storcere il palato a qualcuno. Ma io l’album l’ho ascoltato, giuro, mi ha divertito e, a quanto pare, sono ancora vivo.