È finalmente uscito “La terra sotto i piedi”, l’ultimo attesissimo album di Daniele Silvestri. Atteso, forse il più atteso della corposa carriera del cantautore romano, giunto quest’anno ai venticinque anni di attività, per più di un motivo. Primo fra tutti il fatto che arriva dopo tre anni di silenzio, anche se a questo punto, dopo l’ascolto dell’opera, ci verrebbe da dire: tre anni di studio. Poi perché è la prima uscita di Silvestri mentre la discografia italiana ha definitivamente preso una strada ben precisa: l’indie è morto, è diventato mainstream, nuovo cantautorato per i più ottimisti (e noi siamo sicuramente tra quelli), una strada che attraverso una scorciatoia discretamente tortuosa quanto geniale ha fatto finire un artista completo, esperto, maturo, preparato e appassionato come Silvestri dinanzi lo stesso nastro di partenza dei Calcutta, TheGiornalisti e Sfera Ebbasta vari.
In ultimo, naturalmente, perché si attende sempre un nuovo album di Daniele Silvestri, essendo artista che a differenza della stragrande maggioranza dei colleghi non ha mai nemmeno lontanamente pensato di segnare il passo, di accontentarsi di quanto già fatto, anche se enorme e meravigliosamente riuscito.
Se è dunque vero che questi tre anni sono serviti a studiare e sperimentare qualcosa di nuovo ma sempre estremamente personale e caratterizzante, il tempo non è andato certamente perso, “La terra sotto i piedi” è un’opera maestosa, complessa e raffinata, impegnata ma contemporanea, e che, c’è poco da fare, anche per i più ottimisti, mette in riga qualsiasi campione d’incassi di like e stream.
Proprio un’altra categoria. Te ne accorgi subito, guardando alla durata dei quattordici brani che variano da un massimo di 06:49 ad un minimo di 03:01 minuti, in pratica, rispetto ai dischi della new generation, quasi un’epopea musicale.
Spulciando l’album pezzo per pezzo viene quasi il dubbio che niente sia lasciato al caso, men che meno le sensazioni che ne derivano, Silvestri non ha l’atteggiamento, l’attitudine né tantomeno la presunzione di ergersi a maestro di alcunché, ma è il suo talento, troppo più ammaestrato degli altri, a piazzarlo lì, ad insegnare a questa nuova generazione come si incide un disco praticamente perfetto. Lo ascolti e ti rendi conto di quanto si sia semplificato il sound “che va”, giusto per strizzare l’occhio al mercato; ecco Silvestri al contrario con “La terra sotto i piedi” l’occhio al mercato cerca di cavarglielo, magari chiudendogli un occhio gli si apre un orecchio, che è la parte del corpo con la quale andrebbe ascoltata la musica.
Si parte con “Qualcosa cambia”, mood andante, come a voler dire che il cambiamento passa dalle nostre scelte ma anche da una corrente costante, un beat, che ci trasporta in giro cambiando il panorama davanti agli occhi, e tutto va affrontato, che comunque magari al prossimo giro qualcosa, appunto, cambia, tipo “Una musica nuova, la strada pulita, l’Europa sognata, la Siria è guarita, un popolo onesto, le navi nei porti, la scuola diffusa, processi più corti, una generazione che corregga la rotta, la fiducia che torna, la speranza risorta, la lingua dei segni spiegata ai bambini, noi due che riusciamo davvero a restare vicini”; insomma, la tocca subito pianissimo.
Si passa poi ad "Argentovivo", canzone con la quale Silvestri si è portato a casa il premio al quale ambiva accettando la partecipazione a Sanremo: quello della critica Mia Martini, diventando tra l’altro l’artista italiano che ne può vantare di più in bacheca. Canzone eccezionale, per quanto riguarda i contenuti, espressi in maniera così rabbiosa e tangibile, complessità della composizione, per il quale si avvale della collaborazione di quello che è uno dei migliori batteristi in circolazione, ovvero Fabio Rondanini e interpretazione, magistrale come quella di chi lo accompagna nel brano: Rancore e Manuel Agnelli.
Arriva poi la romantica “La cosa giusta” e la fondamentale “Complimenti ignoranti”, analisi della declinazione moderna intrapresa dal mestiere del cantautore, a metà tra la nostalgia e l’odio per un sistema che ti mette a contatto con chi ti ascolta, dando così la possibilità a chiunque di colpire, protetti dall’anonimato, dal mood incattivito dei social (“Che se va bene a un ministro, figurati a me”), un nuovo modo di ascoltare la musica con le dita sulla tastiera invece che con le orecchie sull’impianto stereo.
Silvestri si autopiazza dietro la sbarra degli imputati, sputa il rospo che ha in gola in salsa electric/pop e azzecca uno dei brani più evidentemente autobiografici della sua lauta produzione. Ci fa far “si” con la testa mentre ascoltiamo i brani nelle cuffie Silvestri, per poi farci respirare con “Tutti matti” e “Concime”, meraviglioso pezzo che racconta con gli occhi del cinquantenne che è (quasi commovente per chi lo segue dagli esordi) la possibilità di guardare con serenità al tempo che passa, anche se è un tempo che sfugge di mano.
“Scusate se non piango” è un pezzo invece che va a mettersi in fila con una serie di altri lavori di Silvestri, una sorta di specialità della casa, tant’è che fino a un paio di settimane prima dell’uscita dava il titolo al disco; è la storia di un ragazzo che preferisce l’amore alla protesta in piazza, il racconto di un romantico disinteresse verso la politica, specie quando è sempre meno politica e sempre più comunicazione fine e uguale a se stessa, quindi noiosa, imparagonabile alle avventure della vita.
Il protagonista non la smette di ridere, anche di fronte alle problematiche che si sente in dovere di affrontare essendo negli anni delle battaglie, dove ci si forma come uomini, come cittadini ed anche come combattenti. Ma lui non può farci niente, “non sono preparato, mi sono innamorato” dice; e ride.
Il brano successivo, “Prima che”, è forse il più bello dell’album, Silvestri stiracchia la sua poetica, sempre più matura, sempre più appuntita, unica, al pari di altri considerati grandi per la loro poetica ma mai stati in grado di andare oltre la loro poetica. Rompe la commozione l’entrata in tackle di “Blitz Gerontoiatrico”, una sonora sculacciata ai signorini della trap, che vengono smontati pezzo su pezzo di tutte le loro mascherine da duri di plastica e adulti per finta; semplicemente un capolavoro, una fatality a Mortal Kombat.
Interessante anche “La vita splendida del capitano”, lettera d’amore e di incoraggiamento a Francesco Totti che ci fa ricordare come poche cose al mondo riempiono il cuore quanto una canzone che riesce a spiegare o anche solo ad evocare le meraviglie delle storie di sport. Attraverso “Rame” si arriva a “Tempi moderni”, satira pura e semplice sulla follia dei social, dove la musica accompagna uno dei divertenti e metricamente intriganti flussi di pensieri di Silvestri (altra specialità di una casa ricca di specialità).
L’album poi si accascia su due ballad nostalgiche, orchestrate, come a voler rappresentare, imponenti, che abbiamo cliccato play un po' più bambini e ne usciamo tutti un po' più adulti, pieni di pensieri, con la voglia di andare a risentire quel passaggio che ti ha colpito come un pugno alla bocca dello stomaco, con una gran voglia di discuterne con i propri cari, di guardare al mondo in un altro modo, più consapevole, rilassato e infuocato allo stesso tempo.
Silvestri invecchia, eppure sforna un disco giovane, come se avesse voglia di creare questo sbalzo di temperatura tra il racconto della propria maturazione, evidente anche grazie alle sue veloci e sarcastiche autocitazioni, come fotogrammi di Tyler Durden sparsi per il disco; e un linguaggio giovane e complesso che alza l’asticella per tutti quelli che da domani entreranno in sala di registrazione per incidere un disco.
Insomma, la porta è aperta, noi vi ascoltiamo tutti, ma non credete di avere il mondo in mano, che poi arriva uno che potrebbe essere vostro padre e vi fa capire cosa vuol dire fare musica che abbia un senso e che vada oltre le impostazioni del mercato discografico online, oltre i vostri like e le vostre stories; perfino oltre il vostro pomposo sbigliettamento. Certo “La Terra Sotto i Piedi” è l’album inciso da un cinquantenne, ma se si vuole fare musica a questo si deve puntare, se non ne avete voglia, fa nulla, non ci mancherete, ma evitate di farci perdere tempo.