Ho un grande sogno per tutti i ragazzi della mia età
16 anni, dirige una scuola di robotica per bambini ad Alessandria

Scrivo in viaggio. Sono qui a San Francisco il giorno di Natale. Sono stata in Silicon Valley, ho appena visitato uffici dei grandi big quaggiù, da Facebook a Github.
Cosa sogno per il 2018? Ho un grande sogno per tutti i ragazzi della mia età. Sogno per loro - e per me! - l’apertura mentale che ho trovato qui ora, come a Boston prima, come in tanti altri luoghi del mondo.
Sogno che prendano il coraggio di salire su un aereo ed uscire dalla loro zona di comfort. Ma non per andare ad ubriacarsi ad Amsterdam o a sballare in una discoteca di Ibiza.
Sogno che partano e vadano in qualsiasi città del mondo a parlare con la gente e con gli altri ragazzi della loro età, che si rendano conto di quanto è piccolo e ristretto il mondo in cui viviamo e che ci sembra così assoluto.
Sogno per loro che il primo viaggio sia di trasformazione: che si impegnino ad aprire i loro orizzonti, a far tesoro delle storie che ascolteranno e a prendere atto dei loro limiti per superarli e andare oltre.
Sogno famiglie che li supportino affinché il detto ‘ali e radici’ sia più vero che mai: ali per volare lontano con un bagaglio di principi e radici che non siano zavorra ma la certezza di dove tornare.
Scendo ora sul pratico e in tutto questo li sogno supportati da una scuola che li prepari ad affrontare ogni futuro, non che insegni loro ad essere robot da catena di montaggio pronti a dire sempre sì!
Supportati da insegnanti capaci a pensare fuori dagli schemi che si rendano conto che la data di nascita di Napoleone, quando ti serve, la si cerca su device che qui in Silicon Valley sono utilizzati normalmente per fare tutto. E quando dico tutto, intendo proprio tutto. Non serve altro in tasca per vivere, sostituiscono anche la carta di credito.
Questi device che a scuola, nel nostro ‘mondo antico’ in cui ogni mattina entriamo, non possiamo utilizzare con il risultato che troppi ragazzi non sanno neppure che si può fare ben altro che giocare e ascoltare musica.
Ma se ti manca la connessione, come fai a cercare la data di nascita di Napoleone?
Ecco, sogno insegnanti che si rendano conto che se sei in uno sperduto villaggio dell’Africa subsahariana senza connessione, proprio quei luoghi in cui mi trovavo l’anno scorso, della data di nascita di Napoleone non te ne frega nulla, non ti serve. Sogno insegnanti che capiscano che ogni parte del mondo ha la necessità di skill diverse, che sappiano trasmettere la curiosità di andarle a cercare e scoprire, per invogliarci a provare quelle che più ci attirano e capire dove e come vogliamo realizzare la nostra vita e la nostra felicità.
Sogno scuole, città e luoghi in cui non esista più il digital divide.
Sogno efficienza per la nostra Italia. Sogno banda larga, abbattimento della burocrazia e uno stato amico che ti aiuta e ti invoglia se a 16 anni sei così pazza da voler aprire una tua scuola perché quelle che ci sono non hanno capito cosa vuoi fare per aiutare i ragazzi a provare a vivere le grandi opportunità che tu hai avuto girando il mondo.
Sogno meno stereotipi, sogno più STEM e sogno che ogni ragazzo capisca di essere libero di fare quello che vuole della propria vita, in qualsiasi campo, con determinazione, fatica e duro lavoro.
Sogno un’Italia da cui non ti venga voglia di scappare ogni volta che visiti Boston, la Silicon Valley, Oslo e persino l’Oman o lo Sri Lanka quando paragoni la velocità dei loro Wi-Fi gratuiti e l’esplosione commerciale di questi paesi che a colpo d’occhio ti fanno sembrare così stagnante la nostra.
Sogno un’Italia da cui partire per andare ad esplorare, a formarsi, a confrontarsi, ma sogno soprattutto un’Italia in cui sia bello tornare. Un’Italia che con tutte le forze voglia farti tornare! Che stia creando la giusta realtà ambientale in cui si possa far crescere, maturare e sviluppare ogni talento.
Un’Italia in cui non sia tutto sempre un enorme problema e una difficoltà.
Infine sogno un’Italia che non solo faccia tornare gli italiani, ma che sia attrattiva per gli stranieri. Un’Italia che dopo il ‘wow, bellissimo paese’, che si sente sempre dire qui, non faccia dire ‘ma...’ agli stranieri, elencando i problemi. Un’Italia che faccia dire loro: sto pensando di trasferirmi là perché ci sono opportunità, perché c’è legalità, sicurezza, apertura mentale, voglia di fare ed innovare in tutti i campi, passione, cambiamento e tutte queste altre cose... ma forse così è un po’ troppo. Quest’ultimo sogno lo riserviamo al 2019!
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