L’incontro di Papa Francesco con la stampa estera, ricevuta in Vaticano, non è stato un semplice scambio di cortesia ma una vera e propria lezione di giornalismo. Che il pontefice sia un attento e arguto comunicatore non è una novità. Ma con le sue parole Bergoglio, ancora una volta, ha toccato tutti i temi fondamentali del giornalismo: l’abc delle sue regole deontologiche e fondative, troppo spesso dimenticate nella pratica di una professione sempre più povera e tirata via, ma anche richiami alla trasformazione digitale, più subita che guidata dalla categoria.
Non è un caso che il Papa sia partito dai concetti di verità e giustizia, senza i quali viene meno, o dovrebbe venire meno, lo stesso ruolo sociale della professione: “Vi esorto a operare secondo verità e giustizia, affinché la comunicazione sia davvero strumento per costruire, non per distruggere; per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialogare, non per monologare; per orientare, non per disorientare; per capirsi, non per fraintendersi; per camminare in pace, non per seminare odio; per dare voce a chi non ha voce, non per fare da megafono a chi urla più forte”.
Con questa frase Bergoglio individua due problemi ben evidenti del giornalismo attuale: anche in epoca di dilaganti fake news il dovere di ogni giornalista è ricercare la verità, che è la base prima e non negoziabile della professione anche nelle parole di Walter Lippmann: “Non può esserci legge più alta nel giornalismo che raccontare la verità e svergognare il diavolo” (Liberty and the News, 1920).
Il secondo aspetto riguarda la funzione sociale del giornalismo. Il Papa ci dice in sostanza che il ruolo nobile della professione sta nel dare voce a chi non ha voce. Lo insegnavano i migliori capocronisti ai giovani praticanti: vai tra la gente, scova le notizie e cerca di capirle a fondo per renderle comprensibili a tutti. Stare in mezzo alle persone, agli ultimi, è più difficile che intervistare un politico o un manager, ma, se ben fatto, è il lavoro più prezioso. “Abbiamo bisogno – sono le parole di Francesco – di giornalisti che stiano dalla parte delle vittime, dalla parte di chi è perseguitato, dalla parte di chi è escluso, scartato, discriminato”.
E qui si arriva un terzo richiamo, direttamente collegato al precedente: non fate da megafono a chi urla più forte. Qui il Papa entra a pieno titolo nella materia più attuale, il rapporto del giornalismo con i politici, non più mediato dal rapporto diretto, come era in epoca pre social media, ma appunto disintermediato dalle grandi piattaforme di condivisione. Il rischio, ormai una certezza, è che così, riprendendo le parole affidate, quando non urlate, dai politici su Facebook o Twitter, i giornalisti si trasformino in un mero megafono pronto a spargere informazioni senza alcuna verifica, approfondimento o quanto meno un semplice tentativo di mediazione. Un copia-incolla che dalla classe dirigente (l’élite?) arriva direttamente sui giornali e sui notiziari. Ma c’è bisogno dei giornalisti per fare questo lavoro?
La categoria dovrebbe aprire una riflessione seria. Se il politico X dice qualcosa su una qualsiasi piattaforma questo è di per sé sufficiente perché approdi sotto una testata professionale? Siamo sicuri che rincorrere le dinamiche dei social per riproporle tali e quali sia la via giusta per irrobustire credibilità e autorevolezza del giornalismo? E’ questo il “ruolo indispensabile” del giornalista e la sua “grande responsabilità?”. Sentite Bergoglio: la ricerca della verità richiede quella umiltà che aiuta il giornalista a non “farsi dominare dalla fretta”, ma ad accostarsi agli altri con “l’atteggiamento della comprensione”. “Ognuno di noi sa quanto sia difficile e quanta umiltà richieda la ricerca della verità. E quanto sia più facile non farsi troppe domande, accontentarsi delle prime risposte, semplificare, rimanere alla superficie, all’apparenza; accontentarsi di soluzioni scontate, che non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale”.
Senza umiltà, sembra ricordare il Papa, si rischia di incorrere nei vizi capitali della professione, come la tentazione di pubblicare notizie non sufficientemente verificate, e la diffusa resistenza a non ammettere l’errore quando si sbaglia che non è sufficiente risolvere con una fredda rettifica, ma spesso richiede spiegazione e riconsiderazione di quanto si è scritto e perché lo si è scritto.
“Giornalisti umili - ha poi sottolineato il Papa - non vuol dire mediocri, ma piuttosto consapevoli che attraverso un articolo, un tweet, una diretta televisiva o radiofonica si può fare del bene ma anche, se non si è attenti e scrupolosi, del male al prossimo e a volte a intere comunità. Penso, per esempio, a come certi titoli 'gridati' possono creare una falsa rappresentazione della realtà. Una rettifica è sempre necessaria quando si sbaglia, ma non basta a restituire la dignità, specie in un tempo in cui, attraverso Internet, una informazione falsa può diffondersi al punto da apparire autentica. Per questo, voi giornalisti dovreste sempre considerare la potenza dello strumento che avete a disposizione, e resistere alla tentazione di pubblicare una notizia non sufficientemente verificata”.
La lezione di Bergoglio non si è limitata ai giornalisti e al loro fondamentale dovere, ma ha trovato spazio anche per richiamare l’attenzione del legislatore e di chi governa il Paese: “La libertà di stampa e di espressione è un indice importante dello stato di salute di un Paese", ha detto, ricordando che “nelle dittature la prima cosa che si toglie è la libertà di stampa”. Ed ecco la lezione più grande: “La Chiesa vi stima, anche quando mettete il dito nella piaga, e magari la piaga è nella comunità ecclesiale”. Non c’è bisogno di altre spiegazioni: la libertà e il buon giornalismo non possono avere un percorso disgiunto. Il giornalismo “è un lavoro prezioso perché contribuisce alla ricerca della verità, e solo la verità ci rende liberi”. Al temine dell’incontro Patricia Thomas, presidente della Stampa Estera, ha consegnato al Papa la tessera dell’Associazione. Il minimo per un discorso così intenso e centrato. In una parola: vero.