Axel Springer e Mediapart: così il giornalismo digitale sopravvive alla carta
Il gruppo tedesco e quello francese continuano a macinare utili. Con due formule completamente diverse, ma entrambe basate su coraggio, visione e buona informazione

Una frase ricorrente tra gli addetti ai lavori lascia poche speranze al giornalismo post-industriale: senza la carta non c’è sostenibilità per l’informazione di qualità. Siamo tutti consapevoli che il modello industriale dell’informazione stampata sia entrato in una profonda crisi strutturale. La diffusione, anche delle grandi, storiche testate, si erode anno dopo anno; la pubblicità migra sempre più velocemente verso altri lidi: le grandi piattaforme digitali, soprattutto.
Eppure esistono casi che sembrano smentire l’equazione: morte della carta, morte del giornalismo. E la cosa interessante è che sono modelli di business che nascono da storie molto diverse: da una parte l’editoria tradizionale (quella appunto che nasce legata alla distribuzione su carta), dall’altra quella nativa digitale. Vediamole entrambe.
PICCOLI ANNUNCI, GRANDE GIORNALISMO
Il caso Axel Springer, editore tedesco tradizionale, dimostra come una visione del futuro e il coraggio degli investimenti, contrapposti alla strenua difesa dello status quo, possano ribaltare una situazione apparentemente svantaggiosa. Springer, editore tra l’altro di testate come Bild e Die Welt, ha recentemente annunciato di aver chiuso il 2017 con un significativo aumento dei profitti dell’8,5 per cento. Un dato non casuale, dato che per il 2018 si prevede un’accelerazione a due cifre.
Come ha fatto? Semplice, ha continuato a fare il proprio lavoro tradizionale coniugandolo con il nuovo contesto digitale. Così – in perfetta sintonia con il motto del fondatore Axel Springer, “la nostra finalità non è stampare carta, è comunicare” – nel 2013 il gruppo ha venduto la rete di quotidiani locali e una manciata di periodici per 920 milioni di euro. Un malloppo che è andato a rinforzare le acquisizioni digitali, concentrate soprattutto su piattaforme che offrono annunci di case, motori, lavoro. A ben vedere, niente di più tradizionale. I “classified”, cioè i piccoli annunci a pagamento, erano un tempo un monopolio dei quotidiani: riempivano pagine su pagine, offrendo un servizio ai lettori e garantendo agli editori circa un terzo dei ricavi. Nel nuovo mondo gli annunci sono progressivamente migrati sulle piattaforme digitali, ma il gruppo Springer non ha mollato la presa, andandosi a ricomprare, finché era in tempo, le piattaforme dove migravano i suoi “piccoli annunci”, ricostruendo, anche così, un modello di business a supporto della buona informazione. Il risultato è che il digitale oggi rappresenta i quattro-quinti dei profitti del gruppo.
Niente male, considerato che il peso dei ricavi digitali era del 4 per cento nel 2004 e del 33,9 nel 2012.
I ricavi del gruppo, come riporta il New York Times, nel 2017 sono cresciuti dell’ 8,3 per cento a 3,56 miliardi di euro, rispetto i 3,526 stimati dagli analisti Reuters.
IL CERCHIO DELLA FIDUCIA
Ma il giornalismo di qualità ha trovato un modello di sostenibilità anche nella vicina Francia. E’ il caso di Mediapart, testata indipendente nata dieci anni fa su piattaforma esclusivamente digitale. Mediapart, gruppo editoriale basato esclusivamente sulle sottoscrizioni dei suoi lettori, è una risposta concreta a quanti sostengono che i lettori non sono disposti a pagare l’informazione online. La testata, che il 16 marzo compirà i suoi primi dieci anni, non accetta pubblicità né sovvenzioni di qualsiasi natura. Tutti i ricavi provengono dai 140.000 sottoscrittori paganti del “Club Mediapart”, per un totale di 13,7 milioni di euro raggiunti nel 2017. Cifre, ovviamente, molto più basse di quelle vantate da Axel Springer, ma il gruppo, che vive solo sul digitale, ha anche costi infinitamente più bassi. In questi 10 anni, dei quali sette in utile, Mediapart è cresciuto fino a raggiungere 4.700.000 utenti unici mensili con uno staff di 85 persone.
La chiave del successo, come ha raccontato il presidente e co-fondatore Edwy Plenel a Bertrand Pecquerie, è un attrezzato team di giornalisti investigativi che ha saputo conquistare la fiducia dei lettori. Anche in questo caso alla base del successo non c’è altro che il giornalismo interpretato al suo meglio, rispettandone i valori etici e deontologici. La ricetta di Plenel - che ha trascorso 25 anni a Le Monde, dove è stato direttore dal 2000 al 2004 - è molto semplice: una solida cultura investigativa accompagnata da una profonda cultura dell’editing; sapere come scrivere un buon titolo e un buon articolo. Ecco cosa spinge i lettori all’acquisto: il buon giornalismo, originale, utile e vero.
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