Il Maphaton della Columbia University per ricostruire Porto Rico (e aiutare i soccorritori)
Una catena umana si mobilita per dare una mano a chi è sul campo ricostruendo in digitale un luogo che non c'è più

A New York, nel cuore di Manhattan, all'interno della Columbia University, dentro alla biblioteca "Butler", addossata a una parete di una piccola stanza, c'è una lavagna. Venerdì scorso qualcuno ha preso un pezzo di gesso e, su quella lavagna, ha scritto una frase: "Move Despacito, Validate Data, Help Puerto Rico". No, la canzone di Luis Fonsi, anche se contiene una citazione dell'isola colpita dagli uragani Irma e Maria, non c'entra nulla. Il significato di quelle parole è un altro. "Muoviti con accortezza, certifica i dati, aiuta Porto Rico". Sono le direttive per partecipare, da volontario, a un maphaton molto particolare.
Ricostruire il Paese con i dati
All'interno di quella stanza ci sono circa una sessantina di volontari. Hanno tutti un portatile aperto con centinaia di immagini satellitari che si alternano davanti ai loro occhi. Lavorano per ricostruire, in una piattaforma digitale, i particolari di un Paese in ginocchio. Porto Rico. Le prime stime parlano di almeno 1.500 strade e ponti danneggiati, edifici crollati, collegamenti interrotti, esistenze isolate. Con una possibile crisi energetica, alimentare, sanitaria che minaccia di rendere la situazione ancora più difficile nei prossimi mesi. Quei volontari, in realtà, non sono soli. Sono collegati con moltissime altre stanze all'interno di altre università americane. Boston University, Trinity College, le principali università di Miami, colpite anche loro dal violento passaggio di Irma, l'Università Rutgers e quella del Nebraska. E poi ci sono gli archivi di molte altre realtà, passati minuziosamente al setaccio. Mappe, dati, documenti, modelli, ricostruzioni. Tutto viene condiviso e usato. Per un obiettivo più grande.
I dati, prima di tutto
Alex Gil, uno dei membri dello staff delle biblioteche della Columbia e promotore dell'iniziativa, ha sottolineato quanto "un'operazione di questo tipo può avere un impatto vero per le organizzazioni che lavorano a Porto Rico". Sono state proprio loro, infatti, a lanciare l'appello per avere maggiori informazioni sul luogo in cui stanno operando. Una risorsa forse meno immediata, rispetto ad altre come acqua, cibo e medicine, ma altrettanto decisiva. Quei dati, infatti, sono in grado di disegnare i percorsi più veloci e sicuri, illustrando molti particolari sullo stato di salute di strade, ponti e altre strutture di collegamento. Dati utili per muoversi con maggiore coordinazione ed efficacia, per evitare ulteriori danni o rallentamenti, per mandare messaggi mirati alla popolazione bloccata nelle proprie case o sfollata nei centri d'accoglienza. I dati raccolti, che provengono, ad esempio, da dispositivi GPS, fotografie aeree, censimenti, archivi, sono stati usati all'interno della piattaforma aperta, OpenStreetMap per ridare visibilità a ciò che è stato, temporaneamente, cancellato.
Thanks to those in the #Rutgers community who are helping map Puerto Rico at the #hurricane relief editathons in @RULibraries today. pic.twitter.com/OYHxoIfx3U
— Rutgers University (@RutgersU) 29 settembre 2017
L'effetto degli uragani sulle mappe e il "test Starbucks"
Juan Francisco Saldarriaga, professore associato alla Columbia, ha raccontato al New York Times, quanto Porto Rico, pur essendo un territorio appartenente agli Usa, fosse privo di dati significativi prima dell'arrivo dell'uragano Maria. "Molti edifici nelle isole dei Caraibi non sono mai stati mappati. A New York, dico sempre ai miei studenti, siamo sommersi dalla quantità di dati a nostra disposizione ma non in tutti i paesi avviene lo stesso".
Dale Kunce, che a Porto Rico guida le squadre della Croce Rossa americana dedicate alla raccolta, all'analisi e alla trasmissione di dati, racconta alla PBS come sia cambiato il modo di rappresentare visivamente le isole caraibiche dall'avvento di fenomeni devastanti come Irma: "Repubblica Dominicana, Haiti, Bahamas, Isole Vergini, Porto Rico. Tutti questi paesi sono stati, forse per la prima volta, completamente mappati solo dopo il passaggio di uragani così forti". Kunce, per capire la probabilità che ha un luogo di essere o meno su una mappa, usa quello che ha chiamato "Il test di Starbucks": quando qualcuno può navigare verso il più vicino Starbucks, la nota catena di bar-caffè, usando il proprio smartphone, significa che la sua posizione è con grande probabilità rintracciabile all'interno di banche dati come Google Maps. "E se sei all'interno di una mappa significa che esisti, che esiste la casa in cui abiti, la strada in cui cammini, il quartiere in cui vivi. Vuol dire che hai una voce". Ma in caso contrario qualcuno deve costruire quella voce per te.
La guida dell'Humanitarian OpenStreetMap Team
Nel 2010, a Washington, dopo il terribile terremoto di Haiti, è stato lanciato l'Humanitarian OpenstreetMap Team. Si tratta di un'associazione senza scopo di lucro che contribuisce alla ricostruzione dei luoghi cancellati dal sisma. In quell'iniziale progetto vennero coinvolti oltre 45mila volontari e da allora non si è più fermata. Un paio di volte l'anno individua un'area di crisi, contatta le organizzazioni per capire che tipo di dati possano maggiormente servire, e coinvolge il numero di volontari necessari a fornire quelle informazioni nel tempo più breve possibile. Un processo che si è messo in moto dopo il terremoto del 2010, in Cile, e quello del 2015, in Nepal. Il 2017, però, è un anno particolare. A causa degli vari uragani che si sono abbattuti sui Caraibi e sul Texas, del sisma messicano e delle inondazioni in Bangladesh, c'è stata una richiesta di volontari già molto più ampia del 2016 e degli anni precedenti.
Come si mappa
All'interno del Maphaton della Columbia, l'Humanitarian ha messo a disposizione la propria esperienza guidando i neofiti alla giusta interpretazione delle mappe satellitari e confermando, o correggendo, il lavoro che mano a mano veniva portato a termine da ciascun attivista. Per creare queste mappe, i volontari seguono un processo semplice: ad ognuno viene assegnato un diverso quadrato di territorio. Attraverso le immagini satellitari e le altre fonti a disposizione, si individuano i principali punti di riferimento geografici. La sessantina di attivisti della Columbia, ad esempio, aveva come compito quello di occuparsi degli edifici mentre ad altre squadre sparse per il Paese sono stati assegnati ponti, strade, coste o altri elementi. Una volta che viene verificato e approvato il lavoro, la mappa viene pubblicata e resa disponibile a tutti. Anche per essere ulteriormente modificata.
David Kunce, ogni sera, scarica e stampa quelle stesse mappe, consegnandole poi a chi, sull'isola, porterà fisicamente l'aiuto e il sostegno necessario. Acqua, cibo, medicinali, conforto. Un aiuto reso possibile anche dal lavoro partito da quella piccola stanza, collocata all'interno di una delle università più importanti, al centro di una delle nazioni più potenti del mondo.
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