Ma la Rete può (e deve) dimenticare Anna Maria Franzoni?

La donna ha pagato il suo conto con la giustizia per l'omicidio del figlio Samuele (lei si è sempre detta innocente) e ora invoca il diritto all'oblio, ad essere dimenticata

 Ma la Rete può (e deve) dimenticare Anna Maria Franzoni?
Agf
Anna Maria Franzoni

Annamaria Franzoni ha definitivamente scontato la sua condanna per l’omicidio del piccolo Samuele, il figlio minore che aveva solo 3 anni, un atroce delitto per il quale la donna si è sempre protestata innocente. Ed ora il suo legale, l’avvocatessa Paola Savio, si appella al diritto dell’oblio. “È quello che ho sempre rivolto da quando è iniziata l'esecuzione della pena e che rivolgo anche oggi: dimenticatela”.

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Un appello lanciato a tutti gli organi d’informazione. “Occorre pensare che ci sono familiari che hanno sofferto con lei”. Già il diritto all’oblio per il quale più volte è stato interpellato sia il Garante della privacy sia la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Ma Annamaria Franzoni può appellarsi a questo diritto che prevede la cancellazione di tutti i riferimenti alla sua vicenda dai motori di ricerca sul web? 

Una domanda che divide il mondo giuridico: da un lato c’è chi sostiene che il diritto all’oblio sia da applicare anche per quelle persone che nel passato si sono rese responsabili di gravi reati (ma che poi si sono rifatte una vita completamente nuova, chiudendo con quel passato); e chi invece rivendica come il diritto di cronaca sia insindacabile e quindi garantito. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. 

“Il trascorrere del tempo è senz'altro l'elemento più importante per valutare l'accoglimento di una richiesta ad "essere dimenticati", ma l’esercizio del cosiddetto diritto all'oblio può incontrare altri rilevanti limiti, come precisato dalla giurisprudenza comunitaria e dal lavoro condotto dal Gruppo dei Garanti europei”.

Così scriveva il Garante italiano nella newsletter dell’8 agosto 2017.  La vicenda riguardava un alto funzionario pubblico che chiedeva la rimozione di alcuni url dai risultati di ricerca ottenuti digitando il proprio nominativo su Google. Questi url, infatti, rinviavano ad articoli nei quali erano riportate notizie relative ad una vicenda giudiziaria nella quale lo stesso era stato coinvolto e che si era conclusa con la sua condanna.

Si trattava di una vicenda molto risalente nel tempo (circa 16 anni fa) e l'interessato era stato nel frattempo integralmente riabilitato”. Fatta eccezione per un articolo, per il quale il Garante aveva ordinato a Google di deindicizzare l'url, per tutti gli altri aveva “riconosciuto che questi, pur richiamando la medesima vicenda giudiziaria, inseriscono la notizia in un contesto informativo più ampio, all'interno del quale sono fornite anche ulteriori informazioni legate al ruolo istituzionale attualmente ricoperto dall'interessato e che tali risultati erano di indubbio interesse pubblico anche in ragione del ruolo nella vita pubblica rivestito dal ricorrente, che ricopre incarichi istituzionali di alto livello. Pertanto, riguardo alla richiesta di una loro rimozione, ha dichiarato il ricorso infondato”. In quel caso ci si trovava di fronte a un reato contro la Pubblica Amministrazione.

Un anno prima, il 12 dicembre 2016, il Garante aveva respinto il ricorso di un ex consigliere comunale che aveva patteggiato una condanna per corruzione: “Non si può invocare il diritto all'oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo. In questi casi prevale l'interesse pubblico a conoscere le notizie.

In un’altra newsletter, infine, “alla luce delle Linee guida dei Garanti europei”, il Garante della privacy in Italia “ha rilevato che sebbene il trascorrere del tempo sia la componente essenziale del diritto all'oblio, questo elemento incontra un limite quando le informazioni di cui si chiede la deindicizzazione siano riferite a reati gravi e che hanno destato un forte allarme sociale. Le richieste vanno quindi valutate con minor favore, anche se devono essere analizzate caso per caso”.

Ecco, caso per caso. Ma la notizia di un omicidio (già di per se un gravissimo reato) di un bambino può essere annoverata tra quelle quelle che possono rientrare nei casi del diritto all’oblio? E la vicenda di Annamaria Franzoni, come deve essere valutata oggi, a 17 anni dall’omicidio del piccolo Samuele e a pochi giorni dalla “fine pena” della donna?

Non sono un giurista né un avvocato, sono un semplice giornalista, che, in questo caso, si pone solo una questione: la deontologia professionale. Annamaria Franzoni ha tutto il diritto a rifarsi una vita. E penso che debba essere lasciata in pace e non inseguita ndan paparazzi e telecamere mentre esce a fare la spesa o ad accompagnare i suoi figli a scuola. Ma se un domani si dovesse verificare un fatto di cronaca come quello del piccolo Samuele (purtroppo si sono già verificati) come ci si dovrebbe comportare? Se un giornale volesse ricordare i precedenti e analoghi omicidi, avrebbe tutto il diritto di citare tra questi fatti anche l’omicidio di Cogne e quindi anche di chi e stato ritenuto colpevole, ossia la mamma Annamaria Franzoni. 

E quindi, a mio giudizio, il “giallo di Cogne” non può e non deve essere cancellato dai motori di ricerca sul web. È sempre en solo una questione di deontologia professionale.

Diverso, invece, è quello che viene definito “accanimento”, ossia quello che fanno solitamente giornali o riviste scandalistiche, on line o trasmissioni televisive che amano ‘sfamare’ il lettore o il telespettatore con notizie scandalistiche o raccapriccianti. Bene, io non appartengo a questa categoria, anzi, mi sento molto distante. Non giudico il loro operato, ognuno ha la propria coscienza deontologica. Buon lavoro.



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