Forse è presto per dirlo, perché il polverone non è ancora sceso e la botta è ancora troppo calda, ma la sensazione è quella: un ciclo si è chiuso, un amore è finito. L’elettorato britannico, che in Europa spesso fa più tendenza persino di quello francese, non è più invaghito dei sogni degli ultimi decenni: il mercato senza regole, gli 'animal spirits' della libera impresa lasciati padroni della società. Soprattutto l’idea che la spinta del progresso siano quelli che in gergo socioeconomico si usano definire con incomprensibile espressione “i ceti medi produttivi”. Margaret Thatcher a questi ceti medi produttivi si rivolse negli anni ’80, promettendo la trasformazione dei salariati, struttura portante del Paese, in un esercito di speculatori di borsa. Il suo non era il classico “arricchitevi”, ma ugualmente alla base del suo credo sussisteva la certezza che, una volta creata la ricchezza grazie ai liberi e soprattutto ai forti, questa per redistribuirsi non avrebbe avuto bisogno delle mani adunche dello Stato tassa-e-spendi. Tutto il contrario: il mercato, nel credo neoliberista, si riequilibra automaticamente, facendo scivolare risorse e opportunità dai piani alti della piramide fino giù, dove John Bull fa la guardia al sistema da almeno due secoli.
Uno schema che, indubbiamente, ha funzionato: evidentemente una parte delle critiche all’eccesso del sindacalismo degli anni ’70 erano ben fondate. Ha funzionato fino alla decisione della Lady di Ferro di imporre la flat tax, nel 1990. Ma qui il meccanismo si inceppa, il partito conservatore si stufa di lei, ed in capo a qualche mese l’inossidabile signora della politica britannica si trova ai giardinetti. Ma lascia un vuoto di idee che il suo diretto successore e pugnalatore John Major non riesce a colmare. Invece c’è chi, nel frattempo, impara per bene la lezione, realizzando quella che negli Usa Bill Clinton chiama la Triangolazione. In Italia la potremmo definire 'il Battimuro', e consiste nello scartare l’avversario portandolo sulla fascia esterna del cortile, là dove inizia il muro della scuola. Qui – dopo aver stabilito in precedenza che “il muro è campo” – si colpisce la palla con forza verso il muro suddetto, all’altezza del difensore. Contemporaneamente si scarta verso il centro del campo e si raccoglie il pallone che nel frattempo è rimbalzato anch’esso sulla mediana, e via verso la porta. Gol assicurato.
Funzionava così, la Triangolazione clintoniana: ci si getta sulla destra e poi, dopo essersi impossessati dei temi dell’agenda conservatrice, si occupa il centro e si vincono le elezioni. Clinton lo fa nel ’92. In Gran Bretagna Tony Blair, che di Clinton è discepolo, fa lo stesso a Londra. Entrambi partendo, sulla carta, da sinistra. Solo che di sinistra, alla fine della partita, rimane ben poco. E chi ha vinto la partita, in fondo, è sempre Margaret Thatcher. Fino alla affermazione a sorpresa (17 punti recuperati in un mese di campagna elettorale) di Jeremy Corbyn.
Corbyn è giunto a questa giornata dopo aver rivoluzionato la sinistra del suo Paese, in fondo mai ripresasi dallo shock della sconfitta di Michael Foot nel lontano 1983. Sì, in mezzo c'è stata la lunga e vincente parentesi di Tony Blair, ma resta aperto il dibattito sull'essere effettivamente di sinistra di quel premier venuto da Oxford che tanto appariva, piuttosto, come l'erede diretto della Signora Thatcher. E che considerava Corbyn, dall'alto del London Eye da lui stesso voluto, un seccante rimasuglio della Storia. Sull’essere Corbyn seccante magari aveva ragione, ma sul considerarlo un rimasuglio della Storia magari no, perché nel 2015, dopo la sconfitta elettorale di Ed Milliband (forse più a sinistra di Blair, ma ugualmente figlio della Cool Britannia), Corbyn a sorpresa vince le primarie del Partito.
Durerà poco, pensano tutti, perché la sinistra per vincere deve buttarsi sul centro, e parlare di nazionalizzazioni è cosa che porta male nella cabina elettorale. Ancora un anno fa i tre quarti dei parlamentari laburisti avrebbero tentato di dargli il benservito in una di quelle congiure di palazzo che gli inglesi attribuiscono alla cultura politica degli italiani, e di cui invece sono loro gli esperti. Troppo Old Labour, troppo Foot, troppo tweed stazzonato. Troppo stantia l'aria del rapporto privilegiato con i sindacati ed il loro leader, Len McLuskey, una sorta di Scargill redivivo. In poche parole: un abusivo alla testa del New Labour. Oggi tutto questo non c'è più. Il dato politico di questa elezione è che la sinistra britannica è viva e vegeta, e può prosperare restando fedele a se stessa. Anzi, può porsi come alternativa di governo e attrarre il voto dei giovani (come Sanders negli Stati Uniti). Corbyn, al contrario di quello che aveva fatto Milliband nel 2015, ha rivenditato l'eredità degli anni '70, dosandola sapientemente goccia a goccia nelle pagine della piattaforma elettorale.
Si può dire che altri leader, al suo posto, avrebbero ugualmente avuto una affermazione simile, se non maggiore. Ma non si immaginano molti leader in grado di mantenere una linea coerente nel corso della lunga traversata del deserto sopportata da Corbyn e dai suoi. E se l'argomentazione è quella che a battere la May è stata la crisi economica, vien facile rispondere che questa è la crisi economica imposta dal modello di sviluppo seguito da Blair, Cameron, May e Major. Quanto alla Thatcher, lei ne era la creatrice.
Quando la Thatcher vinse le elezioni del 1983 su un Michael Foot pestato come un pugile suonato, in Italia Giorgio Forattini pubblicò una vignetta in cui una autocompiaciuta Lady di Ferro commentava: "Da oggi in poi ne me Foot". Sono passati quasi 35 anni, ed oggi lo può dire Jeremy Corbyn.