E’ sempre più alta in India la tensione sociale a seguito delle continue violenze che ormai da mesi si stanno verificando con preoccupate frequenza soprattutto sulle bambine. Stupri, uccisioni, violenze efferate di ogni tipo, sembrano ormai essere all’ordine del giorno in tutto il Paese. E, come sempre accade nel subcontinente, le vicende stanno assumendo un carattere non solo giudiziario, ma anche politico, sociale e religioso.
Anche la mitologia indiana è ricca di storie di stupri. Ravana, secondo quanto racconta il poema epico Ramayana, era un demone, re di Lanka. Tra le sue caratteristiche negative, aveva quella di rapire e violentare le donne per metterle nel suo folto harem. Così aveva fatto con una fanciulla di nome Vedavati, devota del dio Visnu, che per vergogna si uccide lanciandosi in una pira non prima di minacciare vendetta. Ravana non si fermava neanche dinanzi alle parenti: molestò la moglie del figlio si suo fratello Kubera e quest’ultimo, a causa di ciò, gli lanciò una maledizione per la quale se Ravana avesse ancora preso con la forza una donna, la sua testa sarebbe caduta. Dall’altro lato del mare viveva Rama, settima reincarnazione (avatar) di Visnu. Principe ereditario di un importante regno, fu esiliato in diversi luoghi con sua moglie Sita e suo fratello e in una foresta, le truppe di Ravana rapiscono Sita portandola nell’isola di Lanka. Rama, con l’aiuto dell’esercito delle scimmie (che costruiscono anche un ponte da Lanka all’India), dopo alcuni mesi riesce ad uccidere Ravana e a liberare Sita la quale, forse anche grazie alla maledizione di Kubera, nel periodo della sua detenzione non subisce violenza. Ma Rama, rispettoso delle leggi e delle tradizioni, credendo che la moglie fosse stata violentata da Ravana, la ripudia e lei, per mostrare la sua illibatezza, passa indenne in una pira infuocata, al contrario di quello che era successo a Vedavati che si ritiene essere reincarnata nella moglie di Rama. Per ricordare l’episodio di Ravana e Rama, ogni anno a dicembre in occasaione di Dusshera, si bruciano in tutto il paese enormi statue che raffigurano il demone.
In quetsi giorni, a seguito dell’ondata di indignazione per le violenze, i social indiani sono pieni di vignette: “ogni anno bruciamo Ravana anche se non ha violentato Sita e non facciamo nulla per i delinquenti odierni”, si legge in uno slogan che gira molto. In un altro caso, contro due reporter di Times News Shabbir Ahmad e Swathi Vadlamudi, è stata presentata una denuncia da parte di un gruppo di Sanghis, i seguaci del movimento ultranazionalista e induista RSS (Rashtriya Swayamsewak Sangh), molto vicino al partito del premier indiano Modi (il BJP) per aver diffuso una vignetta nella quale si vede Sita che, leggendo un giornale che riporta i casi di stupro in India, dice al marito Rama/Visnu (al quale sono molto devoti i Sanghis), “Sono contenta di essere stata rapita da Ravana e non dai tuoi devoti”, alludendo all’inchiesta contro alcuni esponenti del BJP coinvolti in un caso di violenza sessuale.
L’ultimo caso, in ordine cronologico, è di solo qualche giorno fa e riguarda una ragazzina di 11 anni che, nello stato dell’India centrale del Gujarat, è stata prima sequestrata e poi barbaramente uccisa. Il suo corpicino straziato, con quasi 90 ferite anche nelle parti intime (il che fa pensare a violenze anche di tipo sessuale), è stato ritrovato in un campo di cricket e nessuno ne ha reclamato il copro, probabilmente la piccola era vittima di una tratta ancora molto fiorente nel paese. La morte della bimba in Gujarat segue solo di poco tempo quello di un’altra giovanissima, di 8 anni, che lo scorso 10 gennaio era stata prima rapita e poi torturata, violentata e quindi uccisa. La vicenda è accaduta nello stato del Jammu e Kashmir, spesso teatro di violenze anche di altro genere, dovute alla contesa dei confini, ed ha assunto un risalto enorme, in tutto il paese, diventando un fatto mediatico. Pian piano sono stati rivelati agghiaccianti particolari: la bambina, dopo essere stata rapita, era stata sedata, lasciata gradualmente morire di fame e violentata a turno da una banda. A rendere tutto ancora più grave, se fosse possibile, vi è il fatto che della banda, a quanto pare, facevano parte anche alcuni membri della polizia. Dopo immani sofferenze la bimba era stata presa a bastonate per assicurarsi che morisse e non riconoscesse i suoi aggressori. Il caso ha avuto un risalto enorme sulla stampa, locale ma anche internazionale. Due ministri locali del BJP, il partito di governo anche nazionale, avendo partecipato ad una manifestazione in difesa degli accusati, sono stati oggetto di un attacco massiccio da parte della popolazione e alla fine sono stati costretti a dimettersi. La famiglia della bambina uccisa ha ora deciso, per avere un processo più giusto, di chiedere alla Corte Suprema di trasferire il giudizio in un altro Stato.
Casi come quello del Kashmir sono purtroppo diffusissimi in India. Nello Stato dell’Uttar Pradesh un’altra ragazza ha tentato di suicidarsi davanti alla residenza del primo ministro Yogi Adityanath dopo un tentativo di violenza sessuale subito ad opera di un esponente di spicco del BJP che lei aveva inutilmente denunciato, senza essere stata creduta e ascoltata. La giovane è stata soccorsa ed è sopravvissuta ma suo padre è stato poi portato via dalla polizia per essere interrogato e, aggredito in custodia, è morto poco dopo. Moltissime le proteste che si sono levate in ogni parte del paese per chiedere che il governo intervenga a rendere il paese sicuro soprattutto per le donne e a far si che episodi del genere non si verifichino mai più. A New Delhi e Mumbai migliaia di persone sono scese in strada innalzando cartelloni con su scritto “rendete l’India un posto sicuro per le donne”. Molti partecipanti hanno urlato al governo di svegliarsi dal torpore e di fare qualcosa di concreto. In particolare nella capitale, si è svolta una marcia dal titolo “Not in my name” (non in mio nome) a cui hanno partecipato esponenti della politica, della cultura e del cinema. Il problema, sottolineano in molti analisti, va affrontato dalla radice, a livello culturale e sociale. Il ruolo della donna in India è infatti ancora secondario, le donne vivono – salvo pochi casi di donne che riescono a studiare, magari anche all’estero, a trovare un ruolo nella società e quindi ad essere rispettate - in posizione subordinata rispetto al padre prima e al marito dopo. Non hanno possibilità di decidere della loro vita: non a caso nella maggior parte dei casi i matrimoni sono ancora combinati ed è quindi il padre a decidere chi la figlia debba sposare. Lo stesso premier indiano, Narendra Modi, in più di un’occasione, e anche durante discorsi ufficiali, pur condannando gli stupri come “enorme vergogna per il paese” ha sottolineato come occorra uno sforzo educativo da parte delle famiglie in particolare una maggiore attenzione alla crescita dei figli maschi a cui sin da piccoli deve essere insegnato il rispetto per l’altro sesso.
A novembre scorso, nel tentativo di arginare il problema delle violenze sulle donne, sollevato anche da numerose organizzazioni e ONG (tra cui la Fondazione Thompson Reuter che ha stabilito che Delhi detiene il triste primato di capitale mondiale dello stupro, più o meno al pari con San Paolo in Brasile), il governo aveva deciso di mandare 600 poliziotte a pattugliare le strade della capitale. Secondo i dati resi noti dalla stampa, negli ultimi cinque anni le denunce di molestie sono cresciute del 67% (complice forse anche una maggiore coscienza da parte delle donne che fino a poco tempo fa spesso subivano senza denunciare nulla) ma il numero degli abusi è continuato a salire. L’associazione Human Right Watch ha sottolineato l’arretratezza del sistema giuridico indiano, connessa anche con una diffusa corruzione della polizia. Molte vittime, infatti, non solo non sarebbero tutelate ma, quando si recano dalla polizia a denunciare quanto accaduto vengono invitate a desistere o, nei casi peggiori, vengono molestate anche dagli stessi poliziotti. Il tutto nasce anche in un ambiente socio-culturale dove sopravvivono vecchi retaggi e dove appunto le donne sono ancora considerate poco più che oggetti.
Sul delicato tema è intervenuto anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che, commentando il caso della bimba di 8 anni violentata e uccisa nel Kashmir, ha parlato di “orrore” e ha fortemente auspicato che i colpevoli siano perseguiti e paghino adeguatamente per questo atroce crimine.