Francesco e le ferite del popolo di Dio
"Meglio parlare di speranza che di riconciliazione". Papa Francesco ha parlato con grande franchezza ai suoi confratelli gesuiti nel corso dei due incontri avuti con loro nel corso del viaggio in Cile e Perù dello scorso gennaio

"Ah, le ferite del popolo di Dio! A volte il popolo di Dio è ferito da una catechesi rigida, moralista, del 'si può o non si può', o da un’assenza di testimonianza". Papa Francesco ha parlato con grande franchezza ai suoi confratelli gesuiti nel corso dei due incontri avuti con loro nel corso del viaggio in Cile e Perù dello scorso gennaio. Le considerazioni sulle resistenze alla riforma che sta portando avanti nel suo Pontificato e sulla dolorosa piaga degli abusi sessuali sono circolate in questi giorni grazie alle anticipazioni, ma il cuore di quegli interventi, che possiamo qualificare come uno sviluppo ulteriore della Teologia del popolo, non ha avuto spazio nei media. Invece si tratta di una lettura molto originale della fede cattolica che potrebbe aiutare il suo rilancio non soltanto in America Latina.
"Una Chiesa povera per i poveri! I poveri non sono una formula teorica del partito comunista. I poveri sono il centro del Vangelo. Sono il centro del Vangelo! Non possiamo predicare il Vangelo senza i poveri", ha affermato Francesco prima di confidare: "È su questa linea che sento che ci sta portando lo Spirito. E ci sono forti resistenze. Ma devo anche dire che per me il fatto che nascano resistenze è un buon segno. È il segno che si va per la via buona, che la strada è questa. Altrimenti il demonio non si affannerebbe a fare resistenza".
Per il Papa "questi sono i criteri: la povertà, la missionarietà, la coscienza di popolo fedele di Dio...". "In America Latina, in particolare - ha suggerito ai religiosi - dovreste chiedervi: 'Ma dov’è che il nostro popolo è stato creativo?'. Con alcune deviazioni, sì, ma è stato creativo nella pietà popolare. E perché il nostro popolo è stato capace di essere così creativo nella pietà popolare? Perché ai chierici non interessava, e allora lasciavano fare... e il popolo andava avanti...".

Il sogno di 'declericalizzare' la Chiesa
Secondo Francesco, "il danno più grave che può subire oggi la Chiesa in America Latina è il clericalismo, cioè il non rendersi conto che la Chiesa è tutto il santo popolo fedele di Dio, che è infallibile 'in credendo', tutti insieme. Parlo dell’America Latina, perché è quella che conosco meglio".
"Tempo fa - ha confidato ai gesuiti - ho scritto una lettera alla Pontificia Commissione per l’America Latina, e oggi sono tornato sull’argomento. Bisogna rendersi conto che la grazia della missionarietà è insita nel battesimo, non nell’Ordine sacro o nei voti religiosi. Consola vedere che ci sono molti sacerdoti, religiosi, religiose che si mettono totalmente in gioco, cioè con quell’opzione conciliare di mettersi al servizio del popolo di Dio". "Ma - ha lamentato Francesco - quell’atteggiamento principesco resiste in alcuni. Si deve dare al popolo di Dio lo spazio che è suo. E possiamo pensare lo stesso sul tema della donna".
"Riprendete in mano - ha suggerito il Papa ai religiosi della Compagnia di Gesù della quale lui stesso fa parte - il Concilio Vaticano II, rileggete la 'Lumen gentium'. Ieri con i vescovi cileni li esortavo alla declericalizzazione. Se c’è una cosa molto chiara, è la coscienza del santo popolo fedele di Dio, infallibile 'in credendo', come ci insegna il Concilio. Questo porta avanti la Chiesa. La grazia della missionarietà e dell’annuncio di Gesù Cristo ci viene data con il battesimo. Da lì possiamo andare avanti... Non bisogna mai dimenticare che l’evangelizzazione viene fatta dalla Chiesa come popolo di Dio".
"Il Signore vuole una Chiesa evangelizzatrice, lo vedo con chiarezza. È quello che mi è venuto dal cuore e con semplicità nei pochi minuti in cui ho parlato nelle Congregazioni generali previe al Conclave", ha assicurrato Bergoglio che ha poi chiarito questo concetto: 'una Chiesa che va verso fuori, una Chiesa che esce ad annunciare Gesù Cristo. Dopo o nel momento stesso in cui lo adora e si riempie di Lui".

Riconciliazione, quella parola 'bruciata'
"Uso sempre - ha detto ancora il Papa ai gesuiti latinoamericani - un esempio legato all’Apocalisse, dove leggiamo: 'Sto alla porta e busso. Se qualcuno mi apre, entrerò'. Il Signore è fuori e vuole entrare. A volte però il Signore è dentro e bussa affinché lo lasciamo uscire! A noi il Signore sta chiedendo di essere Chiesa fuori, Chiesa in uscita. Chiesa fuori. Chiesa ospedale da campo...".
"In generale - ha rilevato Francesco - soprattutto noi che rientriamo nella cornice della vita religiosa, sacerdoti, vescovi, a volte dimostriamo poca capacità di discernere, non lo sappiamo fare, perché siamo stati educati in un’altra teologia, forse più formalista. Ci fermiamo al 'si può o non si può', come dicevo anche ai gesuiti cileni a proposito delle resistenze all’Amoris laetitia. Qualcuno riduce tutto il risultato di due Sinodi, tutto il lavoro fatto, al «si può o non si può». Aiutateci, dunque, a discernere. Certo, non può insegnare a discernere chi non sa discernere. E per discernere si deve entrare in esercizi, bisogna esaminarsi. Bisogna cominciare sempre da se stessi".
Francesco ha voluto poi soffermarsi sulla parola "riconciliazione" che, ha lamentato, "non è soltanto manipolata: è bruciata". "Oggi e non soltanto qui, ma anche in altri Paesi dell’America Latina, la parola riconciliazione è stata svigorita. Quando san Paolo descrive la riconciliazione di tutti noi con Dio, in Cristo, intende usare una parola forte. Oggi invece riconciliazione è diventata - ha denunciato - una parola di cartone. L’hanno fiaccata. L’hanno indebolita, non soltanto nel contenuto religioso, ma nel contenuto umano, quello che si condivide quando ci si guarda negli occhi. Oggi invece si tratta sottobanco".

"Direi - ha continuato - che non bisogna accettare queste acrobazie, ma nemmeno remare contro. Bisogna dire a quanti l’adoperano indebolita: usatela voi, ma noi non la useremo, perché oggi è bruciata. Ma bisogna continuare a lavorare, dunque, cercando di riconciliare le persone. Dal basso, dai fianchi, con una buona parola, con una visita, con un corso che aiuti a capire, con l’arma della preghiera, che ci darà la forza e farà miracoli, ma soprattutto con l’arma umana della persuasione, che è umile. La persuasione agisce così: con umiltà. Io suggerisco questo: andare a trovare l’avversario, mettersi davanti all’altro, se c’è l’opportunità... La persuasione! Sulla riconciliazione che oggi si propone: non voglio toccare a fondo e nel dettaglio il problema peruviano, perché non lo conosco, ma mi fido delle tue parole, e dato che, come ti dicevo, questo fenomeno accade anche in altri Paesi dell’America Latina, posso dirti che non si tratta di una vera riconciliazione profonda, ma di un negoziato. Va bene: l’arte della guida politica implica anche la capacità di negoziare. Il problema però riguarda che cosa si negozia quando si negozia. Se tu nel mucchio delle cose che porti al negoziato metti anche i tuoi interessi personali, allora è finita... Non possiamo parlare neanche di un negoziato. È un’altra cosa... Allora - ha concluso il Papaa - invece che di 'riconciliazione', è meglio parlare di 'speranza'. Cercate una parola che non sia un cavallo di battaglia meschino, usato senza il suo pieno significato".
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