Così Bergoglio vuole cambiare l'iter di beatificazione dei martiri della chiesa
Dopo la beatificazione di don Pino Puglisi, ucciso dalla Mafia, il Papa sta aprendo una nuova stagione per la Chiesa. Al centro ci saranno i fatti, e le dichiarazioni degli assassini

“Uccisi perché non conoscevano il Corano. Forse è giusto che si cominci a pensare a quella strage in termini di martirio e non come di un comune atto terroristico”. Don Luca Monti, il giovane sacerdote che ha perso nella strage del 2 luglio a Dacca la sorella Simona, incinta di 5 mesi, ha espresso questa opinione a margine dell’incontro di Papa Francesco con i familiari delle 9 vittime italiane di quell’eccidio. Esalta la loro testimonianza anche monsignor Valentino Di Cerbo, vescovo di Alife-Caiazzo, che ha accompagnato dal Papa le famiglie colpite .
E il Papa li ha ringraziati per questa disponibilità al perdono dopo la tragedia nella capitale del Bangladesh dove persero la vita 22 tra avventori e camerieri, 2 poliziotti e 5 terroristi.
Un fatto che pur con molte differenze richiama l’uccisione di padre Jacques Hamel sgozzato poche settimane dopo nella sua chiesa di Rouen per essersi rifiutato anche lui di abiurare. Francesco ha detto che l’anziano sacerdote in quanto martire è già “beato” perché come Gesù sulla croce che “svuotò se stesso assumendo una condizione di servo diventando simile agli uomini” anche lui si è annientato per noi tutti. “Alla fine della messa - ha riferito il vescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrune - Francesco mi ha detto: ‘Esponi questa foto, perché lui è beato adesso. E se qualcuno ti dice che non puoi, rispondi che ti ha autorizzato il Papa. Tu puoi mettere la foto è beato. Il Papa ti ha dato il permesso'”.
Anche la chiesa copta del resto ha già beatificato i 21 cristiani uccisi due anni fa dallo Stato islamico in Libia: i loro nomi sono stati inseriti nel Sinassario copto e verranno festeggiati ogni 15 febbraio. Mentre Francesco concedendo la porpora al sacerdote albanese Ernest Simoni, torturato e imprigionato per anni a causa della sua fede, ha voluto ricordare che nella Chiesa antica martiri si poteva essere dichiarati anche in vita, se si sopravviveva alle persecuzioni.
Bergohlio sta cambiando la logica della beatificazione
Dietro la spinta riformatrice di Bergoglio, ma anche a causa dello scandalo dei vorticosi giri di denaro raccolti per sostenere l’iter delle cause di beatificazione, sta cambiando la logica stessa di questi processi, spesso lunghi decenni, durante i quali le carte raccolte ingialliscono nei faldoni. A segnare una svolta è stato il’iter seguito per la beatificazione di don Pino Puglisi, il parroco ucciso a Palermo dalla mafia. Il postulatore, l’arcivescovo di Catanzaro Vincenzo Bertolone, ha rivelato infatti di aver individuato negli atti del processo penale per l’omicidio Puglisi le “prove” della sua santità.
A cominciare dalle parole del killer, affiliato alla mafia e poi pentito, Giovanni Drago:
Il pubblico ministero, nel processo celebrato davanti alla Corte di Assise di Palermo, così descriveva Brancaccio, nella sua requisitoria del 23 febbraio 2008: “Il quartiere di Brancaccio era (ed è) una frontiera scomoda per tutti, un territorio a perdere, un incontrastato dei criminali e dei mafiosi perché guai a opporsi a loro. Ecco perché il quartiere di Brancaccio, agli occhi del parroco, apparve come una vera e propria missione. Una missione difficile come alcune parti dell’Africa affamata o come alcune zone della violenta America Latina. Una missione pericolosa”.
Un avvertimento mafioso a Francesco
E proprio in America Latina, precisamente nello stato di Tucuman in Argentina, si è consumato 4 mesi fa un altro martirio che la Chiesa dovrà prima o poi riconoscere come tale in analogia a quello di Puglisi e di Romero: l’uccisione (che si cerca di far passare per un suicidio, contro ogni evidenza) di padre Juan Heraldo Viroche, noto per la sua lotta al narcotraffico, trovato impiccato nella sua chiesa a La Florida, il 5 ottobre scorso. “Il sacerdote - come ha scritto Alver Metalli su Terre d’America - era di quelli che non solo alzavano la voce contro il narcotraffico, ma si adoperava per strappare i giovani del posto dalle grinfie dei piccoli narcos locali legati a narcos più grandi”. “Un avvertimento mafioso a Papa Francesco. Infatti si è voluto marcare il territorio dicendo a Bergoglio: nel tuo paese è al governo il partito della guerra. Puoi dire quello che vuoi ma qui in Argentina comandiamo noi, nel tuo paese non sei un profeta”, ha spiegato il deputato di Buenos Aires Gustavo Vera.