Le potenzialità dell’eolico, che ieri come ogni 15 giugno sono state celebrate in tutto il pianeta in occasione della Giornata Mondiale del Vento, non sono rappresentate soltanto dai circa 24 milioni di barili di petrolio risparmiati dal nostro Paese grazie all’energia prodotta da quella che tra tutte le fonti rinnovabili è la più in crescita: c’è anche una forza immateriale, ma non per questo meno creativa e meno benefica, che non a caso è nata nella città del vento per eccellenza, Trieste.
Si tratta del Museo della Bora, «quel gran vento di Trieste» come ebbe a descriverlo Gianni Rodari «più impetuoso e veloce di un treno rapido in piena corsa». Uno spazio, il museo in progress, dedicato alla cosa più triestina che c’è, protagonista del mito e del meteo, musa ispiratrice di poeti e di artisti, causa di problemi ma anche occasione di visibilità.
Un ferro da stiro in cartella, per non volare
Uno spazio del vento ma anche e soprattutto della fantasia, probabilmente il primo museo dedicato solo al vento nel mondo. Concretamente si tratta di un magazzino di 55 mq dove dal 2014 ad oggi si sono accumulati oggetti e testimonianze eoliche, dove si trovano giornali del tempo in cui i triestini si difendevano dalle raffiche tenendosi alle corde, anemometri di tutti i generi, libri sull’argomento, venti in bottiglia provenienti da ogni parte del mondo, cartoline, souvenir, tesi di laurea, girandole costruite nei laboratori per bambini, oggetti ricordo legati a questo vento tipicamente triestino a prova di imitazioni. Come ad esempio un pesante ferro da stiro che una signora metteva nella cartella di scuola per non volare.
Un posto dove tutti i cattivi pensieri vengono spazzati via, l'immaginazione vola, le idee girano e arrivano da ogni continente. Un posto visitato da oltre 7 mila adulti e centinaia di bambini con presenze triplicate negli ultimi quattro anni. Un posto anche molto recensito e non solo dalla stampa italiana: ne hanno parlato pure in Giappone! Un posto che da quattro anni a questa parte scende in piazza per incontrare cittadini e turisti con un evento — BoraMata — pieno di giochi, scherzi, trovate, momenti di confronto.
Il refolo dadaista
Un posto che ha bisogno di più spazio per mettere il vento in mostra e provare a inscatolarlo, come vorrebbe Rino Lombardi, pubblicitario lucano d’origine e triestino d’adozione, anima del Museo: un’idea che lo scrittore Mauro Covacich qualche anno fa definì divertentissima, quasi neo-dadaista, una di quelle invenzioni tra la bizzarria e il colpo di genio.
Ma il Museo della Bora è ancora nell’aria, è ancora alla ricerca di una casa adeguata in cui infilarsi, come quei refoli (raffiche in triestino, ndr) che arrivano all’improvviso, facendoti respirare: speriamo che le istituzioni cittadine rispondano!