Una storia troppo bella per essere vera
Un bambino lanciato dal nono piano di un palazzo in fiamme è stato afferrato al volo e salvato. Ma abbiamo gli strumenti per sapere se è successo davvero?

Cosa c’entra un’auto in doppia fila in una strada di Roma con un condominio in fiamme a Kensinton Ovest? Niente. Assolutamente niente. Eppure non riuscivo a pensare ad altro mentre dovevo decidere cosa fare con quella che sembrava destinata a diventare la Storia del giorno. Da una parte quell’auto in seconda fila e il mio amico troppo pigro per scendere da casa a spostarla. Dall’altro questa madre che si sporge da una finestra del nono – nono – piano di un edificio avvolto dal fumo tenendo il figlioletto per le braccia e poi lasciarlo cadere nel vuoto.
Non potevo smettere di pensarci perché era una storia troppo bella per non essere raccontata. Una donna disperata che per non lasciare il figlio alla morte più atroce decide di fare la cosa più folle immaginabile: lanciarlo con la speranza che qualcuno lo prenda. “E’ la storia di oggi” ha detto qualcuno in redazione, “dobbiamo raccontarla”. In realtà qualcun altro l’aveva già fatto: il Guardian, nello specifico, che con quel meraviglioso modo che ha di gestire le breaking news e le emergenze riesce a dar conto di tutto, ma proprio tutto, con un ordine, una pulizia e una precisione che pure se il vostro inglese non va oltre the book is on the table riuscite a capire praticamente tutto. E poi è il Guardian: gente che prima di pubblicare una storia la rivolta come un pedalino e solo quando non ha più nessun dubbio preme il tasto ‘pubblica’.
Quindi perché mai non raccontare anche noi la storia di questa madre che lancia il figlio da un finestra di un edificio in fiamme e del gentiluomo (sic!) che lo afferra al volo dopo un volo di nove (o forse dieci) piani? Perché io ho ancora nella testa un’altra storia: quella del mio amico, della sua auto in doppia fila e della sua pigrizia.
Era successo che bisognava spostare una Audi in doppia fila, ma il mio amico non aveva voglia di uscire da casa in ciabatte per farlo. E, siccome io ero già in strada, mi ha detto: ti lancio le chiavi. Pessima idea. Primo perché io non sono Johnny Bench (leggendario catcher degli Yankees), secondo perché sono molto miope e terzo perché sono goffo. E in questi frangenti rivelo tutta la mia goffaggine. Ma il mio amico si fidava: non potevo mancare la presa di un mazzo di chiavi avvolto in uno strofinaccio e lanciato dal terzo piano. Non potevo proprio.
E invece l’ho mancata. Il fagotto – leggero, acchiappabilissimo – mi è passato tra le mani e si è schiantato sul marciapiede. Ora, se sapete quanto costa una chiave elettronica nuova di un’Audi, potete immaginare la faccia del mio amico.
Ma questa storia della chiave dell’auto cosa c’entra con il rogo del Grenfell? C’entra perché è vero che io non sono Bench e la mia vista non è al 100%, ma se ho mancato la presa di un mazzo chiavi dal terzo piano, come può un uomo che non sia stato morso da un ragno e trasformato in un supereroe aver afferrato al volo un bambino di quattro-cinque anni lanciato dal nono-decimo piano ai piedi di un edificio in fiamme dal quale piovono rottami incandescenti?
A questo pensavo mentre cercavo una buona ragione per non scrivere quella che secondo me non era una buona storia, ma solo un’illusione, il sogno a occhi aperti di qualcuno che aveva visto più di un bambino, lanciato da madri disperate, precipitare senza speranza. Qualcuno che, ai piedi dell’inferno, voleva solo raccontare una buona storia. Una storia a lieto fine.
Ma non avevo uno straccio di strumento per dare corpo al mio scetticismo. Da una parte l’autorevolezza del Guardian (e poi della Bbc), dall’altro le mie mani che mancavano la presa di un fagotto con una chiave.
Ma sull'onda della breaking news è lecito affidarsi all'attendibilità e all'autorevolezza (oltre che alle fonti) di qualun altro - rigorosamente citandolo - solo perchè universalmente riconosciuto come attendibile e autorevole? In questo caso, senza un corrispondente sul posto, c'erano poche alternative. Ma se fosse successo in casa nostra, cosa avremmo fatto? Avremmo messo mano a quegli strumenti che esistono - ce ne sono a iosa - perché con il moltiplicarsi delle fake-news sono fiorite anche le controffensive della società civile, del giornalismo con la G maiuscola, di tutti quelli che non ci stanno a farsi menare per il naso dagli avvelenatori di pozzi. Il problema, semmai, è conoscerli questi strumenti. E saperli usare. Ma anche fare squadra, perché il fact-checking è una fatica bestia, un impegno di tempo a volte frustrante e per quante controprove puoi portare ci sarà sempre qualcuno che preferisce credere agli asini che volano.
E’ per questo che esistono appuntamenti come il TechForum di MolenGeek. Un’occasione per incontrarsi e discutere: di problemi, ma soprattutto di soluzioni. Quest’anno ci confronteremo su ‘Digital citizenship: building trust’. In altre parole: recuperare quella fiducia che il web, invece di consolidare, ha sgretolato, troppo spesso a vantaggio di venditori di fumo e bufalari. Siamo tanti, da ogni parte dell’Europa Occidentale. A Bruxelles: nel cuore dell’Europa tecnocratica, ma anche dell’Europa ferita dal terrorismo, appena un anno e mezzo fa. Per tentare di trovare una quadra, ma soprattutto di fare squadra e far sì che le Storie, anche quelle così buone da non sembrare vere, possano essere raccontate con la certezza che non si riveleranno delle balle colossali. O un amaro risveglio da un sogno a occhi aperti.
Sono qui per raccontarvi questi giorni. E di un nuovo modo di fare giornalismo