Vecchi ricchi contro nuovi poveri. È così che in tanti hanno deciso di presentare la vicenda di “Deliverance”, un collettivo attivo per i diritti dei fattorini di food delivery che – attraverso la sua pagina Facebook – ha diffuso una lista di clienti ricchi e famosi (calciatori, uomini di spettacolo, manager, musicisti, influencer) che sarebbero colpevoli di non lasciare loro mance. Una vera e propria blacklist che è stata ampiamente ripresa da tutti gli organi di informazione.
A ben vedere, però, non si tratta soltanto di una notizia di costume, utile per fare la classifica di utenti più o meno taccagni. Al contrario, si tratta di una notizia che ha molto a che fare con i diritti. Quelli nuovi, che i rider stanno provando a conquistare, e quelli vecchi dei consumatori (famosi e non).
L’iniziativa di Deliverance si inserisce nell’ambito dello stato di agitazione permanente dei rider e delle loro organizzazioni per ottenere un “upgrade” dei diritti dei fattorini: reddito incondizionato, salario minimo e una previdenza sociale adeguata.
Si tratta sicuramente di una battaglia giusta. Anche chi non ha mai ordinato su Deliveroo, Foodora o Uber Eats, ha sicuramente visto nelle strade delle grandi città questi fattorini che corrono sui loro mezzi alla velocità della luce pur di rispettare gli orari di consegna, anche in condizioni di traffico proibitivo, sotto il sole cocente o la pioggia battente.
Tuttavia, se la battaglia è giusta, l’iniziativa di Deliverance corre il rischio di essere controproducente in quanto è mirata contro i clienti e colpisce solo indirettamente i datori di lavoro.
I diritti a condizioni di lavoro eque e a una retribuzione giusta devono essere rivendicati nei confronti delle società, semmai coinvolgendo le istituzioni nazionali e regionali che – negli ultimi mesi – hanno dimostrato una sensibilità crescente nei confronti del problema (con scarsi risultati pratici, in verità).
Lamentarsi con i clienti poco generosi sembra, piuttosto, un’implicita ammissione di sconfitta. Rivendicare quello che qualcuno ha già definito come il “welfare” delle mance, in un Paese in cui – differentemente da altri – la mancia non è un’istituzione sociale, significa rinunciare a tutto quello per cui si dice di voler combattere. Il sistema delle mance, infatti, in quanto rimesso al “buon cuore” del cliente non potrà mai sostituire i diritti e le tutele minime che devono essere garantite dalle società di food delivery, come da qualunque datore di lavoro.
Mettere alla gogna i clienti che hanno l’unica colpa di essere ricchi e famosi non è nobile lotta di classe, ma una palese violazione dei diritti dei clienti.
In primo luogo violazione del diritto alla privacy dei consumatori. A loro dire, i rappresentanti dei rider hanno voluto denunciare agli utenti che le società di food delivery sanno molte cose di loro e le sfruttano economicamente (raccogliendo, analizzando e addirittura vendendo i dati).
Tuttavia, queste attività sono esplicitate nelle informative privacy che l’utente accetta volontariamente all’atto dell’iscrizione (anche se, spesso, distrattamente). Si tratta quindi di un’attività lecita, contrariamente alla diffusione dei dati operata dal collettivo rider con l’unico scopo di esporre al pubblico ludibrio personaggi famosi. Tant’è che molti di loro, a seguito del post di Deliverance - oltre a finire nel tritacarne mediatico senza alcuna verifica da parte degli organi di informazione - sono stati oggetto di post e commenti da parte degli haters in servizio permanente effettivo, sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno per cui indignarsi (e da insultare).
Ma oltre ad aver violato la privacy e danneggiato la reputazione delle persone citate nel post, è un altro il passaggio indirizzato non solo ai clienti famosi, ma a tutti coloro che utilizzano i servizi di food delivery.
“Ricordatevi sempre una cosa clienti: entriamo nelle vostre case, vi portiamo il cibo e qualsiasi altra cosa vogliate, praticamente a tutte le ore del giorno, siamo in strada sotto la pioggia battente o sotto il sole cocente, senza assicurazione. Sappiamo tutto di voi. Sappiamo cosa mangiate, dove abitate che abitudini avete.”
Cosa significa? È un avvertimento? Esattamente quale sarà il prossimo passo nell’escalation della protesta contro i clienti? Nei quasi duemila commenti al post di Deliverance c’è chi definisce questo passaggio come minaccia o estorsione. E, come prevedibile, pare che il post sia già stato segnalato alle autorità competenti, anche con la finalità di licenziare i rider che abbiano violato la riservatezza dei clienti dei servizi.
Ma a prescindere dalle conseguenze giuridiche che questo post avrà per chi lo ha scritto, non è difficile immaginare che in tanti (non solo VIP) avranno la tentazione di disinstallare le app e di organizzarsi diversamente.
Per tutelare la propria riservatezza e per evitare di doversi difendere da minacce o indebite intrusioni nella propria vita privata. Conquiste giuridiche che sono state raggiunte dopo anni di battaglie.
Insomma, questo atto di protesta, paradossalmente, rende i rider più soli nella loro lotta e non solo perché non contribuisce alla consapevolezza sul loro sfruttamento. Ma anche perché una battaglia per l’estensione di tutele non può iniziare con la violazione di diritti altrui. Così perde di credibilità.
Scriveva Norberto Bobbio che i nostri diritti non sono altro che i doveri degli altri nei nostri confronti. Quindi, qualunque battaglia che conduciamo sarà sicuramente più credibile e autorevole (e non sarà una mera rivendicazione) se sarà accompagnata dal rigoroso rispetto degli altrui diritti che dipendono da noi.