I bambini sono a rischio (ma non di contagio) e tenerli a casa non serve

I bambini sono a rischio (ma non di contagio) e tenerli a casa non serve

Quello che invece è certo è che si sta accumulando un danno educativo molto rilevante a cui si associano manifestazioni di disagio psicologico. L'allarme dei pediatri
pediatri tenere bambini a casa non serve

© AFP -  A un alunno viene presa la temperatura prima dell'ingresso mella scuola Saint-Exupéry di Parigi 

“Che ne vuoi sapere tu, che sei l’ultima ruota del carro?”. Per generazioni di bambini di una certa età la frase suona familiare, ma dev’essere tornata di moda recentemente e deve aver animato lo spirito degli ultimi dpcm, che si sono caratterizzati per una costante: aver messo i bambini e le bambine all’ultimo posto. Dopo i tatuatori, ha detto il pediatra e parlamentare Paolo Siani durante la Maratona Infanzia promossa da Repubblica lunedì pomeriggio per avviare un confronto tra esperti sulle proposte da fare all’esecutivo.

Non per mancare di rispetto ai tatuatori, ma per sottolineare che almeno numericamente la categoria dell’infanzia dovrebbe avere maggiore considerazione. Del resto non è una novità e lo abbiamo già scritto: i bambini erano ultimi già prima, già l’anno scorso e prima ancora a giudicare dagli scarsi investimenti su educazione e famiglie che da sempre caratterizzano la politica italiana.

Adesso però la situazione è grave, molto grave: l’emergenza legata al Covid-19 ha esasperato le difficoltà e le disuguaglianze sia sociali che territoriali e i bambini svantaggiati, come non si stanca mai di ripetere Chiara Saraceno, sono diventati doppiamente svantaggiati.

Si calcola che il 30% dei bambini italiani è stato tagliato fuori dalla didattica a distanza e anche in quelli che hanno avuto accesso alle tecnologie e sono stati in questo supportati dai genitori il calo d’attenzione e l’indisponibilità alle attività finalizzate all’apprendimento è sempre più evidente. Pazienza, dirà qualcuno, la didattica si recupera, sono piccoli.

Ma la scuola non è solo il luogo dell’apprendimento e della didattica, la scuola è il luogo della crescita, è il luogo privilegiato per lavorare sulle disuguaglianze, la scuola è il luogo dello sviluppo, perché non c’è economia senza conoscenza.

Per questo un gruppo di autorevoli pediatri, rappresentativi di tutto il territorio nazionale, ha scritto una lettera per lanciare un allarme e invitare la politica e la società a trovare un equilibrio tra i rischi presunti connessi alla riapertura dei servizi educativi e i documentati danni collaterali effetto della prolungata chiusura delle scuole . "I bambini" affermano Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino di Trieste e membro del Comitato Scintifico dell’International Society for Social Paediatrics and Child Health, e Federico Marchetti, a capo del Dipartimento Salute Donna, Infanzia e Adolescenza di Ravenna e direttore della rivista “Medico e Bambino” "si ammalano molto poco e, se è vero che possono albergare il virus e verosimilmente trasmetterlo, è altrettanto vero che la possibilità di trasmissione è estremamente bassa. Quello che invece è certo è che si sta accumulando un danno educativo molto rilevante a cui si associano manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio di violenza subita o assistita, riduzione di qualità degli apporti alimentari, riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici per bambini affetti da disabilità o patologie croniche".

Davanti a questo pericolo e alla deriva sanitaria dei problemi pedagogici bisogna correre ai ripari, riaprendo gli spazi educativi e mettendo in campo iniziative mirate per quei bambini che hanno difficoltà specifiche: lo hanno fatto nella maggior parte dei Paesi europei, dove ci si è preoccupati di salvaguardare i più piccoli sotto tutti gli aspetti e dove le scelte non sono state prese e discusse in una prospettiva unicamente infettivologica (peraltro, affermano i pediatri, i bambini lasciati a casa stanno andando incontro a rischi infettivi senz’altro maggiori di quelli insiti in situazioni controllate dove gli adulti sono sottoposti a misure di prevenzione e controllo, dove si seguono regole di distanziamento, igiene personale e sanificazione ambientale).

È tempo di assumersi una responsabilità collettiva, ben sapendo che il rischio zero non esiste ed è giunto il momento di sperimentare, di scoprire strade nuove (a cominciare, perché no?, dalla modifica del calendario scolastico), con la consapevolezza che è sicuramente maggiore il rischio che il nostro Paese corre se continua a dimenticarsi dei suoi bambini. Perché le ultime ruote del carro sono quelle che assicurano le lunghe distanze e la ripartenza quando si è costretti a fermarsi, sono quelle che garantiscono il futuro.