In principio fu Maurizio Gasparri. La social-disinvoltura comunicativa del vicepresidente del Senato è stata per anni considerata da molti una sorta di punto di non ritorno della disintermediazione: gaffe, liti pubbliche, insulti a follower, artisti e giornalisti. Eppure il tempo ha dimostrato che Maurizio Gasparri non era un caso isolato. In questi ultimi anni abbiamo assistito a un'escalation di odio veicolato dalla politica attraverso i social in cui la recentissima vicenda degli insulti via Twitter di Angelo Parisi, assessore designato del M5S in Sicilia, a Ettore Rosato (“Facciamo un patto: se la Consulta casserà la tua legge, noi ti bruceremo vivo, ok?”) è stata soltanto la punta dell'iceberg.
Una punta che di quell'iceberg ci racconta molto. In primo luogo l'incapacità della politica di rispondere delle proprie azioni. Dopo il polverone mediatico Parisi si è scusato, il candidato Governatore in Sicilia, Giancarlo Cancelleri, ha preso atto delle scuse come se l'oggetto dello scandalo fosse stata una spintarella in coda alla casa del supermercato, colpo di spugna e tutto dimenticato. Eppure non dovrebbe funzionare così. Chi fa politica dovrebbe essere d'esempio e mandare un segnale inequivocabile: se sbagli paghi. Soprattutto oggi, in un mondo in cui hate speech, parole ostili e istigazione all'odio la fanno da padroni. Ed è paradossale che mentre il dibattito pubblico è sempre più incentrato sulle denunce dell'uso violento e sconsiderato che in molti fanno della rete (con tanto di propositi educativi-punitivi) i politici siano spesso in prima fila a dare il cattivo esempio.
Del resto quello di Parisi non è un caso isolato. È proprio di questi giorni la notizia di un post aberrante di un assessore comunale di Orvieto, Massimo Gnagnarini, che, di fronte alle lamentale di un ristoratore che si lamentava per la presenza di alcuni rom in zona stazione, ha risposto via Facebook: “Ci aveva provato anche zio Adolf a prendere qualche rimedio, politicamente scorrettissimo, ma non gli è riuscito neanche a lui”. Un commento choc che ha causato un'ondata di polemiche e indignazione e che la dice lunga della leggerezza con cui i politici interpretino il proprio ruolo di “guide” della comunità.
E in fondo qualcosa di molto simile era capitato anche su Tripadvisor al consigliere comunale spezzino Fabio Cenerini (Lista Toti) per una recensione dal retrogusto razzista dopo la cena in un ristorante di Cortina d'Ampezzo: “Sinceramente non ho apprezzato una persona di colore a servire con costume parzialmente ampezzano. Se fossimo in un ristorante internazionale a Milano sarebbe diverso, ma sarebbe come andare in Marocco e in un ristorante tipico invece di trovare un marocchino che serve in tavola in abito tradizionale, ci trovassi un tedesco biondo vestito da marocchino. Assurdo!”.
Così come era andato decisamente oltre le colonne d'Ercole del buon senso il portavoce del ministro Luca Lotti, Antonio Funiciello, quando per criticare la sindaca di Torino Chiara Appendino scrisse su Twitter: “Bocconiana come Sara Tommasi” (Funiciello si scusò subito). Poco in confronto al post abietto di Diego Urbisaglia, consigliere comunale e provinciale del Pd di Ancona che ell’anniversario della morte di Carlo Giuliani scrisse su Facebook: “se in quella camionetta ci fosse stato mio figlio, gli avrei detto di prendere bene la mira e sparare”.
Ed ebbe parecchio a che fare con i social anche la sparata irresponsabile dell'ex ministro leghista, Roberto Calderoli, il quale nel bel mezzo di un comizio a Treviglio (era il 2013) se ne uscì dando dell'orango all'allora ministra Cecile Kyenge. Un'uscita tanto becera quanto infelice che parte del web interpretò come un istigazione all'odio razziale: fu così che in tanti sui social riproposero l'epiteto dando vita a un fiume di insulti a sfondo razzista nei confronti della ministra, indegno di un paese civile. Ma la cosa segna di nota è che Calderoli per quella sparata irresponsabile, la fece più o meno franca. L'ex ministro leghista infatti andò a processo per diffamazione, ma la richiesta di autorizzazione a procedere per istigazione razziale contro Calderoli fu respinta dal Senato anche grazie ai voti dei parlamentari del PD. Ovvero il partito della stessa Kyenge! Segnali inequivocabili dell'incapacità dei politici di comprendere la gravità di simili uscite in relazione al proprio ruolo; frutto di un sistema autoimmune che tutela se stesso, fregandosene delle responsabilità.
Proprio come accadde a Beppe Grillo quando postò sul proprio blog l'immagine di un attivista del M5S in auto con a fianco un cartonato a dimensione naturale della Presidente della Camera, Laura Boldrini, accompagnato dalla domanda: “Che cosa faresti se ti ritrovassi in macchina con la Boldrini?” una domanda percepita dagli utenti come un vero e proprio invito all'insulto. E infatti Laura Boldrini, sotto a quel post, fu fatta oggetto di improperi, insulti, auguri di violenza e di morte e schifezze d'ogni tipo. E sempre da un rappresentate del Movimento, l'attivista Andrea Tosatto co-autore dell'inno del partito, prese forma, alla vigila del referendum costituzionale del 2016, un altro tweet aberrante, dedicato al cantante Andrea Bocelli, reo di appoggiare il Sì: “Bocelli vota Sì: avrà letto la riforma o di Renzi si fida ciecamente?”. Scivoloni che sorprendono ancora di più quando arrivano da chi il web dovrebbe conoscerlo bene, come il M5S, che proprio grazie alla rete si è costruito un nome e una reputazione.
Quello che non sorprende invece è che i social media si siano trasformati in un luogo inquinato, sempre più avvelenato da discorsi d'odio e sparate violente. Se il livello dei nostri rappresentanti è questo, è francamente difficile aspettarsi qualcosa di meglio dalle persone.