Cronaca di una mattinata di follia a Torino, col mio smartphone senza Internet

All'improvviso non c'è più connessione. Né in strada, né in treno. Gli attimi di panico in una giornata lavorativa, durante i problemi di connessione di Vodafone nel nord-ovest

Cronaca di una mattinata di follia a Torino, col mio smartphone senza Internet

All’improvviso il panico. Sono le 6 di mattina quando accendo il mio smartphone, assonnato, allungando un braccio verso il comodino. A Torino fa freddo, le giornate stanno diventando più lunghe e la luce, a quell’ora, latita. Il router è spento e nonostante i tentativi con gli occhi semichiusi, whatsapp non si aggiorna.

Ci metto un paio di secondi a notare una scritta che è un vero e proprio incubo. “Nessun servizio”. Nessun. Servizio. Non c’è internet. Sorrido. Che cazzata. Ieri c’era, oggi non c’è motivo per credere il contrario. Ci sono i primi tweet da fare, i post da programmare, le mail da leggere. “Nessun servizio”.

Spengo e riaccendo. Niente. Modalità aereo on e poi off. Cinque volte di seguito. Niente. Cerco manualmente le reti pensando che la pigrizia delle modalità “in automatico” mi sta rovinando la vita. Ma lo penso solo quando qualcosa non va. Adoro le semplificazioni, sempre. Intanto sono sceso dal letto, ho urtato il solito spigolo con il piede e ho acceso il router. Nell’attesa che la luce giusta si accenda e lampeggi provo qualunque cosa mi venga in mente per superare quest’empasse. Tolgo e rimetto la SIM, usando un ago per aprire quella maledetta cassettina.

Impreco in tutte le lingue del mondo ripristinando tutte le impostazioni esistenti del mio smartphone. Il risultato è che il router si è acceso ma la connessione automatica non c’è più e mi serve la password. Colpa del ripristino che azzera tutto. Ovviamente non me la ricordo e perdo altri 20 minuti alla ricerca di quella sequenza alfanumerica che, a torto, maledetta pigrizia del mondo automatico, non ho mai cambiato e che ho scritto in un post-it sgangherato infilato in chissà quale anfratto della mia disordinata esistenza. 

Dopo aver trovato e inserito la password il respiro si placa. Il telefono si connette. Non è morto, non va cambiato, non va portato in assistenza, è ancora in grado di sostenere le fatiche mattutine. Esulto, con parsimonia. Certo, c’è sempre quel nessun servizio a campeggiare in alto, ma almeno posso sbrigare le prime urgenze.

Mi faccio la mia dose duplice di caffè e inizio a frugare su Google tutte le possibili motivazioni per quel problema tecnico. Finisco nel solito labirinto di forum, alcuni risalenti al 2014, e siti tecnici. C’è chi propone soluzioni che in confronto Aranzulla è un principiante alle prime armi. Ovviamente non funziona nulla.

Quel “Nessun Servizio” rimane lì, immobile, a farsi beffe di me. E tra poco devo uscire. Lavoro a Milano, il treno mi attende. La prospettiva di non poter lavorare, per mancanza di connessione, mi getta nello sconforto. Aggiorno i social per strada, schivando cani e persone. Allora scrivo al capo redattore, che oggi è in apertura. Lui mi capirà, lo so, ma il fatto di aggiungergli cose da fare al frenetico casino del mattino non è un modo per iniziare al meglio la giornata.

Mi preparo e prego che tutto si risolva. Magari è un sogno. Tra poco mi sveglierò con il notiziario e il sito davanti agli occhi. Ma niente. Neanche le invocazioni sciamaniche nei confronti delle divinità della tecnologia servono.

Così esco di casa osservando le tacchette che svaniscono e la connessione che si perde. Prendo un bus per arrivare in stazione il prima possibile. Non c’è mai una connessione aperta quando serve. E lo smartphone, nel frattempo, tace. Sembra quasi essere entrato in catalessi. Poi penso che si sta godendo delle ferie meritate. Anche se durano appena un’ora. Beato lui.

Arrivo in stazione. Provo a collegarmi a tutti i wifi possibili. Trenitalia o Italo che sia, non importa. Ma no, non funziona nulla, se non per qualche minuto. Faccio giusto in tempo a comunicare alla redazione che la situazione non è migliorata. Ormai sono convinto che la colpa è di quella maledetta SIM che ha deciso di entrare in sciopero.

Mi siedo al mio posto, rassegnato. Sempre lo stesso. Carrozza 11, la più lontana, posto 39, quello più in fondo. Poi, dopo 40 minuti di viaggio e imprecazioni (ragazza che hai viaggiato accanto a me ti chiedo pubblicamente scusa per il mio sbuffare) ad un certo punto, tutto torna normale. “Nessun Servizio” è finalmente scomparso. Appare Vodafone.it.

I messaggi su Whatsapp dalla redazione, dalla famiglia, dai gruppi più inutili giungono in massa. Mi sento come Colombo davanti alle coste sconosciute dell’America. Poi arrivano le mail e le notifiche. Siamo a Rho. Lontani da Torino. Anche il sole ha fatto capolino dal vagone in corsa. Controllo le news e leggo dei problemi tecnici di Vodafone.

Chiedo scusa alla SIM, al telefono, alla redazione. Poi penso che un panico così non l’ho mai trovato e che, se avessi avuto due smartphone forse tutto ciò non sarebbe successo. Basta un secondo per rendermi conto come la soluzione a cui sto pensando sia peggio del problema. E che forse quel “Nessun servizio” è arrivato al momento giusto. Essere costretti a rallentare, a volte, non è sempre un male. Domani mattina, lo smartphone, lo accendo alle sei e mezza.



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