Ed eccoci qua. Questo è il primo post dalla ricollocazione del gruppo all’Università di Venezia. Abbiamo cambiato nome, ora siamo il Laboratory of Data Science and Complexity, ma la sostanza non cambia. L’essere umano ha sempre cercato la verità, la conoscenza, la capacità di distinguere tra bene e male. Tuttavia, il fatto che siamo dotati di capacità intellettive tutto sommato ridotte ci ha spinto a cercare il nesso tra cause ed effetti in una realtà che, sfortunatamente per noi, quasi mai procede e si struttura per processi lineari. Il risultato è stata la trasformazione di questa ricerca della verità in una vera e propria nemesi alla quale abbiamo risposto, a livello collettivo, con artifici, come il ricorso al mito, al pensiero magico, che sono diventati in questo modo, una caratteristica intrinseca dell’uomo.
In altri termini, la post verità, l’adattamento della verità a seconda delle diverse letture possibili fa parte della natura dell’uomo, e dunque, nonostante la definizione scelta dall’Oxford Dictionary, la post-truth non è affatto una novità assoluta. Tuttavia, negli ultimi tempi questo fenomeno, questo processo cognitivo, è stato messo in correlazione con la comunicazione politica e, di conseguenza, con una serie di fatti che hanno profondamente scosso le leadership e gli assetti dei Paesi occidentali. La Brexit e l’elezione di Donald Trump sono solo i più macroscopici. Si è trattato di eventi che hanno profondamente scosso le certezze di alcuni e che hanno dato la spinta alla ricerca di nuove spiegazioni e di nuove legittimazioni che permettessero di confermare le reciproche comfort zone. Si sono seguite le più disparate interpretazioni e le più improbabili spiegazioni e, allo stesso tempo, tutti sono diventati esperti di tutto. Con effetti anche comici - per non dire tristi - come l’esperto che diventa tale solo per essere uno youtuber piuttosto seguito e che si spaccia come big data scientist con improbabili commenti su curve gaussiane che appaiono o scompaiono a seconda della platea.
Perennemente con il nostro privato in mostra a disegnare un’immagine, forse compensativa, di noi
I social network stanno tuttavia mostrando la nostra natura. Mostriamo di essere sempre informati su tutto e non perdiamo mai l’occasione di puntualizzare la nostra opinione. Perennemente con il nostro privato in mostra a disegnare un’immagine, forse compensativa, di noi. Dalle nostre passioni e conquiste, ai dettagli più intimi della nostra vita affettiva, stati d’animo, riflessioni sulla vita e l’amore, sul matrimonio e la maternità con cagnolini e gattini a far da ornamento a un’esistenza in vetrina in cui non c’è aspetto della nostra vita che non sia esposto alla condivisione e al giudizio altrui, perfino il lutto. Mostriamo di essere soggiogati e intimamente attratti dal giudizio altrui.
Per lo scienziato, questa sovraesposizione è una occasione di ricerca unica. La grande mole di dati a disposizione in questa era dei nuovi media rende possibile, infatti, lo studio della società a un livello di risoluzione senza precedenti, andando ben al di là della pura speculazione. Lungo questa linea sono stati compiuti notevoli progressi per quanto riguarda la comprensione della diffusione e il consumo delle informazioni, il contagio sociale, la nascita delle narrazioni e i loro tremendi effetti sulla formazione delle opinioni. Tematiche che, a guardarle bene, riguardano tutti e che sono diventate l'incubo dei cittadini sia del mondo analogico sia digitale.
In un mondo iperconnesso la diffusione virale e rapida di informazioni errate o fuorvianti diffuse inconsapevolmente o ad arte, potrebbe avere gravi conseguenze
“Il rischio globale della disinformazione massiccia digitale si pone al centro di una costellazione di rischi tecnologici e geopolitici che vanno dal terrorismo ai cyberattacchi al fallimento della governance globale”. Così recitava il World Economic Forum nel capitolo del rapporto “Digital Wildfires in a Hyperconnected World”, dettagliando i pericoli rappresentati da un uso distorto di un sistema aperto e accessibile a tutti.
Internet e i social media consentono di diffondere in tutto il mondo informazioni a una velocità impressionante. Se da un lato gli effetti benefici sono noti e incontrovertibili, anche se guidati da una dinamica ancora poco chiara, quelli pericolosi sono meno visibili, ma non per questo meno virali e potenzialmente dirompenti. In un mondo iperconnesso la diffusione virale e rapida di informazioni errate o fuorvianti diffuse inconsapevolmente o ad arte, potrebbe avere gravi conseguenze. Soprattutto perché il world wide web è la patria della disintermediazione: non ha filtri e dà a chiunque, nel bene e nel male, diritto di parola. Questo strumento coesiste con il processo democratico e lo influenza profondamente. La formazione dell’opinione pubblica, la costruzione della conoscenza e quindi le argomentazioni su cui si fondano le scelte vengono sempre di più mediate e modulate nel mare magnum del web.
Uscire dal dualismo docente/discente soprattutto perché il muro della credibilità è definitivamente saltato e non si ripristinerà con l’autoreferenzialità, con gli insulti o con l’autoincensazione
Oggi però non ha più senso parlare di élite nel ciclo dell’informazione; con l’esplosione dei nuovi media, infatti, salta il filtro dei contenuti. Ognuno è potenzialmente produttore e consumatore nello stesso tempo. Ognuno esprime e definisce se stesso, le sue passioni, i suoi interessi, e ineluttabilmente anche i suoi mostri.
Il fact-checking si dimostra strumento utile solo in termini relativi perché troverà attenzione solo in chi è già predisposto e diventa un mantra per il giornalista o il blogger (noti anche come debunker) che devono giustificare la loro ragion d’essere.
Henry Jenkins diceva "Ognuno di noi costruisce la propria personale mitologia da pezzi e frammenti di informazioni estratte dal flusso dei media e trasformate in risorse attraverso le quali noi diamo senso alla nostra vita quotidiana”.
Vale per lo youtuber che si finge data scientist, o per il blogger che si improvvisa tuttologo di un mondo di cui la complessità ci sfugge di continuo.
C’è bisogno invece di ricreare un ecosistema che sia fertile per la comunicazione. Uscire dal dualismo docente/discente soprattutto perché il muro della credibilità è definitivamente saltato e non si ripristinerà con l’autoreferenzialità, con gli insulti o con l’autoincensazione. Boria e ignoranza sono gli elementi che stanno portando alla completa perdita di autorevolezza le élite e le stanno allontanando dalla società nella quale dovrebbero invece esercitare ruolo dirigente.
A Venezia, all’università Ca’ Foscari, si sta cercando di creare proprio questo tipo di ecosistema in cui interdisciplinarità e cooperazione sono la chiave di volta per la lettura dei problemi contemporanei e per il cambiamento della società.
Nel nostro piccolo cercheremo di dare un contributo in questa direzione per ciò che riguarda il rapporto della data science e la società, la sua comprensione e le sue necessità.
In altri termini cerchiamo di elaborare strumenti e strategie che possano aiutare la comunicazione pubblica e il giornalismo a trovare le chiavi di narrazione più adeguata alla complessità della realtà. Il nemico da cui dobbiamo imparare a rifuggire è la polarizzazione. Questo meccanismo ci spinge a chiuderci nelle nostre echo chamber nelle quali cerchiamo e strutturiamo narrazioni che condividiamo con i nostri amici ignorando allo stesso tempo e deliberatamente tutte le informazioni che possano smentire o sgretolare le nostre acquisite certezze.
Quello che possiamo fare, dal nostro modesto punto di vista, è quantificare questi fenomeni e dare loro un numero e una lettura. Per questo con il nostro Osservatorio abbiamo messo in campo quattro diversi strumenti di azione. In primo luogo ci occuperemo di monitorare e di “interpretare” il mondo dei social e delle informazioni. Nello specifico ci preoccuperemo di monitorare costantemente lo spazio informativo sui social e cercheremo di capire quali sono i temi di interesse e come vengono percepiti dagli utenti per determinare il loro fabbisogno informativo. Un aspetto centrale della nostra attività sarà poi quello della misurazione del grado di polarizzazione (Polarization Rank).
A cadenza regolare pubblicheremo dei report sulle prestazioni delle varie testate sui social tenendo conto dell’accuratezza, dell’effetto polarizzante (o meno) della presentazione delle notizie. Sarà una specie di pagella delle testate giornalistiche su scala nazionale ed europea.
Inoltre provvederemo a realizzare un sistema di Early Warning su potenziali argomenti per informazioni false/fuorvianti/strumentali. Siamo in grado di fare previsioni molto accurate su quali saranno i possibili argomenti di fake news. Infine potremo misurare l’efficacia di penetrazione di vari tipi di comunicazione su temi specifici come l’immigrazione, le vaccinazioni, la salute, il cibo, la geopolitica. Tutti questi servizi saranno messi a disposizione di istituzioni, università, testate giornalistiche e associazioni per creare sinergie allo scopo di migliorare l’ecosistema informativo nell’era della segregazione. A breve annunceremo l’evento inaugurale dell’osservatorio Pandoors.
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