Il senso di portare l'inventore italiano del microchip nella città di Leonardo
Federico Faggin, vicentino, sabato 8 giugno a Vinci presenterà la sua attesa autobiografia, da qualche settimana in libreria: “Silicio” (Mondadori)

“Ci siamo dimenticati chi siamo. Pionieri, esploratori. Non guardiani”. Le parole del protagonista di “Interstellar” saranno il motto che accompagnerà l’evento speciale in programma questo fine settimana a Vinci: portare nella terra di Leonardo il più importante inventore italiano. Federico Faggin, vicentino classe 1941, da cinquant’anni in California, tra i padri del microchip, ideatore della tecnologia touch, sarà sabato 8 giugno a Vinci (17.30 nella suggestiva cornice di Villa Vignozzi) per presentare la sua attesa autobiografia, da qualche settimana in libreria: “Silicio” (Mondadori).
Portare uno dei grandi protagonisti mondiali della rivoluzione tecnologica, che presso il grande pubblico non ha ancora la notorietà che merita, nella terra del genio rinascimentale, nei 500 anni dalla sua morte, ha un valore fortemente simbolico.
Da undici anni, con il progetto Italiani di Frontiera (che organizza l’incontro e di cui Faggin è tra i principali ispiratori), esploro il talento italiano in patria e all’estero, convinto che oggi più che mai questo evento segni una svolta pure nel mio percorso, con l’occasione per celebrare un'italianità diversa da quella che si realizza cercando muri, barriere, nemici da combattere.
Forse c’è davvero un filo rosso nel talento italiano, che il genio rinascimentale e l’inventore naturalizzato americano ci aiutano a individuare. Curiosità inesauribile capacità di combinare competenze tecniche, scientifiche e umanistiche e di “leggere” il futuro facendo tesoro del passato: sono le caratteristiche che Leonardo sintetizzò in modo irripetibile ma che si ritrovano anche nel lavoro di Faggin.
Che dopo aver rivoluzionato la nostra vita di tutti i giorni con le sue due invenzioni, esplora da tempo un territorio inedito e suggestivo, combinando scienza e spiritualità. Con la fondazione che porta il suo nome, creata assieme alla moglie Elvia, da sempre a suo fianco anche nel percorso professionale, Faggin infatti sta finanziando gli studi su un fenomeno che sperimenta da anni: quello della consapevolezza, che non solo distinguerà sempre la mente dell’uomo dall’intelligenza delle macchine, ma che a suo giudizio è presente in qualche modo anche nella materia e nell’energia.
“Gli italiani hanno una capacità unica di affrontare e risolvere problemi complessi. Un dono naturale, creativo, frutto di un ricco retaggio culturale”, ha affermato Faggin, che nel primo microchip da lui disegnato in buona parte a mano e da solo (premiato per questo dal presidente Obama nel 2010 con la prestigiosa “National Medal of Technology and Innovation) dice di riconoscere una sorta di “espressività”, come se il retaggio culturale (nel suo caso esser nato e vissuto nella città del Palladio) lasciasse una predisposizione a trovare soluzioni armoniche, con una loro estetica.
Ne parleremo a Vinci, gettando con un pool di preziosi partner e sponsor le basi di un progetto che in nome di questa italianità miri a lanciare iniziative di respiro internazionale di promozione del talento innovativo, del territorio, delle sue aziende. Perché di queste capacità, di un’italianità che non teme il futuro, sa esserne protagonista a livello globale, di fronte a rapidi cambiamenti e a una complessità che i Big Data hanno amplificato, c’è gran bisogno, a livello globale. Una creatività che all’estero viene spesso premiata e persino corteggiata, in patria si afferma tutti i giorni fra mille difficoltà. Raccontarla, attraverso la storia di grandi protagonisti, ci aiuta a ricordare chi siamo.
Pionieri, esploratori. Non guardiani.
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