Mentre in Turchia si svolgeva per 25 giorni la marcia per la Giustizia e per lo Stato di Diritto indetta dal maggiore partito dell’opposizione CHP, da Brussels si dava un segnale diplomatico forte. Il Parlamento Europeo giovedì ha votato per sospendere le procedure di adesione della Turchia all’Unione se le riforme costituzionali votate nel referendum dello scorso aprile verranno effettuate. Si lasciano aperte possibilità di cooperazione nelle aeree della sicurezza e prevenzione del terrorismo e in quella della migrazione. Condizioni considerate inaccettabili da Ankara.
La riforma costituzionale prevede un rafforzamento dell’esecutivo che, di fatto, rende inefficace la divisione dei poteri tra le varie istituzioni, compreso il Parlamento, come ha lamentato il leader dell’opposizione Kemal Kiliçdaroğlu. Il suo partito ha circa un terzo dei voti del paese, ma sarà difficile che potrà fare un’alleanza con l’altro grande partito dell’opposizione HDP (circa al 10%) perché filocurdo e agli antitesi con la sua ideologia Kemalista e nazionalista. Il co-leader di HDP Selattin Demirtaş è, inoltre, detenuto. Come lo sono molti oppositori politici, giornalisti e semplici militanti.
La marcia di 430 km partita da Ankara è giunta sabato ad Istanbul davanti al carcere dove si trovano un numero imprecisato tra giornalisti, professori universitari, avvocati e rappresentati della società civile, come la direttrice di Amnesty International Idil Eser. A molti cittadini viene impedito di viaggiare e alcuni docenti universitari rifugiatisi all’estero firmatari dell’appello degli Academics for Peace vengono convocati a presentarsi davanti alle autorità turche. Gli stati di fermo hanno una durata imprecisata, un’ex collega, tra i 42 accademici fermati con l’accusa di avere rapporti con Fetüllah Gülen riportati dal Daily Mail, mi ha riferito di essere stata detenuta per dieci giorni in una cella senza finestre, sotto terra.
In Turchia si stanno eliminando le opposizioni
Si va verso una “dittatura”? Il termine non è corretto, dato che il referendum è stato votato dai cittadini, anche se la maggioranza è stata piuttosto risicata per una riforma costituzionale così significativa e la legittimità del voto è messa in discussione dalle accuse di brogli elettorali sollevate dall’opposizione. Il Washington Post ha sottolineato come il processo referendario significa che l’idea di rappresentanza democratica rimane centrale, persino per i leader che gravitano verso regimi autoritari. In altre parole, la legittimità dei governi si basa comunque sulla minimizzazione dei dissensi e il sostegno popolare ai governi legittimamente eletti, anche se autoritari. Bisogna però ammettere che le notizie che ci giungono negli ultimi mesi dalla Turchia non sono orientate verso una minimizzazione dei dissensi, ma di una loro eliminazione attraverso l’uso del monopolio della forza dello stato.
Le risposte dell’opposizione fino ad ora sono state pacifiche, anche se si è acutizzato il conflitto nella parte curda del paese, dove ha interessato anche i centri abitati e la popolazione civile, nell’assenza di interesse mediatico nell’anno passato. Secondo Amnesty International più di 40.000 persone sono state detenute in stato di fermo preventivo durante i primi sei mesi di stato di emergenza proclamato dal Presidente Recep Tayip Erdoğan dopo il fallito tentativo di colpo di stato. Hanno perso il lavoro 90.000 dipendenti pubblici, sono state chiuse con l’intervento dei bulldozer o nazionalizzate tutte le università accusate di essere collegate al movimento di Gülen e messe fuori legge le scuole private dalle quali il movimento traeva sostenamento finanziario. Se l’attacco a questo gruppo politico-religioso, ex-alleato del Presidente in carica, è stato inizialmente sostenuto dalla popolazione, quest’ampliarsi dei numeri di coloro che vengono perseguiti è preoccupante per la possibilità di espressione di un dissenso e anche per il normale funzionamento dell’amministrazione statale, compreso il comparto educativo.
Erdogan ha abolito Darwin, come gli integralisti cattolici
La notizia della cancellazione della teoria darwinista dai programmi scolastici turchi è solo di qualche settimana fa. Se è interessante, da un punto di vista culturale, che Erdoğan abbia introdotto il creazionismo, teoria supportata più dagli integralisti cristiani statunitensi che dal mondo arabo, desta molte preoccupazioni lo stato del sistema educativo turco. Aggiustamenti al curriculum scolastico sono stati apportati nel corso degli ultimi anni, soprattutto con l’introduzione delle scuole islamiche per la preparazione degli Imam a partire dalle scuole elementari. La scuola turca viveva ancora ingessata nei riti nazionalisti, quando Erdoğan venne eletto con la speranza di divenire un grande leader che liberasse le masse di poveri dal dominio delle medesime élite di formazione kemalista e nazionalista. Una riforma era auspicabile, ma invece di introdurre libertà per tutti, come spesso accade nei paesi totalitari, chi vince impone la sua volontà.
La Turchia non è mai stata una nazione libera
La Turchia esce da anni di controllo totalitario: non era un paese libero di esprimersi neanche negli anni 80, quando c’era la dittatura militare. Alcuni divieti sono rimasti. Per esempio, è considerato vilipendio allo stato criticare, anche tra i banchi di scuole e università, il fondatore della Repubblica Mustafa Kemal, conosciuto come Atatürk (padre dei turchi). Quando insegnavo la teoria del totalitarismo nelle università turche non mi era possibile aggiungere Kemal tra gli esempi di dittatori degli anni venti e trenta che possono essere identificati con questa categoria politica e dovevo fare attenzione alle domande degli studenti in proposito. Quando Kemalisti e nazionalisti erano al potere era impossibile parlare di genocidio armeno o delle minoranze, specie dei curdi.
Lo stesso Presidente Erdoğan iniziò la sua carriera politica dalle carceri per aver declamato una poesia. Ora il suo regime politico utilizza gli stessi mezzi coercitivi per imporre il volere di una parte del paese a tutta la popolazione. Questo lo ha isolato nel comparto diplomatico, anche se la Turchia potrebbe rivestire un ruolo fondamentale. Il primo Premier quando il mandato di Erdoğan venne alla scadenza, il professor Ahmet Davutoğlu, auspicava un ruolo leader della Turchia come mediatore privilegiato tra “oriente e occidente”, come paese islamico membro della NATO. Anche Davutoğlu è stato allontanato dal partito per volere di Erdoğan. L’ambizione era quella di guidare il mondo islamico, come ai tempi dell’impero ottomano. La foto del Presidente della Repubblica Erdoğan al G20 seduto da solo con un’espressione corrucciata mentre di fronte a lui i grandi del mondo parlano fitto fitto, è un simbolo di quanto queste ambizioni siano naufragate. Il voto del Parlamento Europeo, un segno più tangibile.