Mi azzardo a scrivere di Marchesi perché me lo ha chiesto Riccardo Luna, il mio è un ricordo minimo, personale e intimo, molti altri posso scrivere molto e di più. La mia con il cibo è una storia particolare, perché ho iniziato a lavorare in questo ambiente più di 10 anni fa, venendo però da tutt’altro settore e l’incontro con Marchesi è stato cruciale per capire davvero qualcosa del nostro paese.
Ho incontrato il Maestro tante volte nel mio cammino nel mondo enogastronomico ed ho sempre avuto la sensazione di trovarmi davanti a una montagna di saggezza e cultura. Un uomo d’altri tempi, un uomo concreto che aveva visto l’Italia crescere e cambiare ma mai farsi veramente forte della propria cucina.
Ho, in particolare, quattro ricordi personali molto intensi di lui: una lezione su di lui ad Alma per i ragazzi del Master del Gambero Rosso che io all’epoca dirigevo, una sera recente al Marchesino dove a lui piacque raccontare aneddoti sulla sua clientela, un incontro alla presentazione della guida Eurotoque dove ci scattammo una foto insieme e una cena incredibile a San Sebastiàn, durante il famoso convegno “Lo mejor de la gastronomia” credo nel 2004, dove ci ritrovammo tutti, lui compreso, a cena dal più famoso stellato spagnolo: Arzak.
Marchesi era osannato da molti, ma non amato da tutti. Una persona in qualche modo rigida e sui generis, ma estremamente sensibile, ironica ed intelligente e sicuramente sopra la media. La sua storia la conoscete e la potete leggere oggi negli innumerevoli articoli usciti per la sua scomparsa. Gualtiero frequentò la scuola alberghiera in Svizzera all’inizio degli anni 50, studiò poi anche a Parigi e rientrò a Milano per andare a lavorare nel ristorante di famiglia dell’albergo “Mercato”. Nel 1977 aprì il suo primo ristorante a Milano conquistando, in soli due anni, l’attenzione e le stelle della guida Michelin, per culminare nel 1986 come il primo ristorante italiano con Tre Stelle Michelin.
Rivoluzionò completamente la cucina italiana, dandole forma e dignità nell’aspetto, nelle presentazioni, nella scelta di piatti nuovi e composizioni mai viste. Pochi elementi ben amalgamati tra loro con effetti spettacolari. Lui predicava sempre l’uso di pochi ingredienti. Famosissimo il risotto con la foglia d’oro (si, proprio oro vero quello alimentare), il raviolo aperto, dove osò dissacrare la pasta fresca che tanto rappresentava la cucina italiana della tradizione, il dripping di pesce dedicato a Pollock, le quattro paste, l’insalata di spaghetti al caviale ed erba cipollina e i cubi di cotoletta alla milanese (tra gli altri).
Quando con i ragazzi del Master del Gambero Rosso passammo alcuni giorni nella scuola di cucina di Alma, furono proprio questi i piatti oggetto delle nostre lezioni e della cena che preparammo con le nostre mani l’ultima sera. Ripercorrere queste idee geniali servì profondamente a tutti noi per capire quanta strada era stata fatta nella cucina italiana. Gli allievi di Marchesi sono oggi i cuochi italiani più conosciuti: Carlo Cracco, Davide Oldani, Ernst Knam, Daniel Canzian, Andrea Berton, Paola Budel, Enrico Crippa; e dalla sua Alma, fondata nel 2006, sono usciti molti giovani promettenti. Nel 2008 tutti ricordano poi il “suo gran rifiuto “delle stelle Michelin, dove, come monito per i giovani, Marchesi incitò la cucina italiana a riconoscere le proprie capacità senza doversi sottomettere al giudizio di una guida francese.
Un personaggio unico e rivoluzionario Marchesi e mi colpisce molto quello che ha scritto di lui, sui social, Paolo Marchi appena venuto a conoscenza della sua scomparsa: “E’ morto Gualtiero Marchesi. La cucina italiana non gli sarà mai tanto riconoscente.” Come direbbe il sociologo Domenico De Masi, la particolarità di Gualtiero Marchesi sta anche nel fatto di aver attraversato, nell’arco di una vita, tre epoche: quella rurale, quella industriale e quella post industriale. Marchesi dell’evoluzione della cucina ha visto proprio tutto. La sua qualità più grande, così come me lo hanno testimoniato oggi i suoi amici più vicini, è stata quella di aver attraversato queste tre epoche con diletto, gioco, divertimento e felicità, spinto anche dal suo grande amore per l’arte e per la musica in particolare, che gli permise di incontrare il suo grande amore e musa: la moglie Antonietta.
Marchesi è stato un leader carismatico e aveva grandi progetti per la sua Fondazione dove voleva coinvolgere tutti i suoi allievi, era ironico, a volte poco contento di essere uscito di scena e quindi a tratti scostante, ma è sicuramente colui che di più ha fatto per incitare l’Italia ad essere orgogliosa della propria cucina. Per tanti anni ha curato e condotto anche la cucina de “l’Albereta“ quartier generale dell’accoglienza della famiglia Moretti in Franciacorta e nel 2010 ha realizzato, per il Castello Sforzesco, un’incredibile mostra raccontando i suoi 60 anni di attività e ripercorrendo tutta la storia della cucina italiana moderna e contemporanea.
Per salutarlo lascio qui le sue parole sull’essenza del cuoco, che badate bene è sempre cuoco e mai chef.
“Cuoco è un mestiere o meglio ancora è un servizio, un ministerium”
Grazie Maestro che la terra ti sia lieve.
Post scriptum: La Fondazione Gualtiero Marchesi
saluta il cuoco, il Maestro e l’uomo di cultura.
Uno spirito libero, arguto e coraggioso che con la sua cucina,
basata sulla materia, l’essenzialità e l’eleganza ha rivoluzionato
la tradizione diventando un esempio per i futuri cuochi.
I funerali si terranno venerdì 29 dicembre alle ore 11
nella Chiesa Santa Maria del Suffragio a Milano.
Marchesi riposerà accanto ad Antonietta e ai suoi cari
nel cimitero di San Zenone Po.