Il calo del prezzo del petrolio annuncia l’arrivo di un’altra recessione?
Nel 2018 il greggio ha registrato il primo calo annuale dal 2015. Nel corso dell’anno il Brent ha perso oltre il 20% e il Wti il 25% e gli analisti esprimono grande incertezza per il 2019

Quello che si è chiuso è stato un anno sulle montagne russe per il prezzo del petrolio. Si è passati dai massimi di 4 anni toccati a inizio ottobre fino ai minimi da un anno e mezzo di qualche giorno fa. In mezzo due interventi dei Paesi produttori Opec e non Opec (Opec Plus) che a giugno hanno aumentato la produzione di un milione di barili al giorno per poi ripensarci a dicembre, annullando la mossa estiva, con un taglio di 1,2 milioni di barili. Proprio in questa indecisione molti analisti hanno ravvisato il motivo del calo degli ultimi mesi. Il mercato infatti non vede bene l’incertezza e se questa sembrava superata a partire dal dicembre 2016 quando, per la prima volta, i paesi produttori di greggio Opec e non Opec avevano riacquistato una certa autorevolezza dimostrando di saper intervenire e indirizzare i corsi delle quotazioni, in pochi mesi hanno perso il credito che avevano guadagnato con gli investitori.

Qual è stato l’errore? Il principale è consistito nel considerare per acquisito il venire meno del petrolio iraniano a seguito delle sanzioni Usa. Così non è stato visto che otto Paesi sono stati esentati dalle sanzioni. In questo modo il petrolio nel mondo, invece di diminuire, è aumentato. Tra i Paesi ‘graziati’ da Trump c’è l’Italia ma anche e soprattutto la Cina, uno dei clienti principali di Teheran. Altro elemento da considerare è che l’Opec Plus rappresenta circa la metà della produzione mondiale di greggio.
Oggi gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore al mondo e grazie allo shale oil hanno superato Russia e Arabia Saudita, raddoppiando la loro produzione. In questa accelerazione c’è lo zampino del presidente Usa Donald Trump che con i suoi tweet si è sempre opposto a qualsiasi taglio della produzione e, di conseguenza, ad un aumento dei prezzi. Al di là degli elementi geopolitici e industriali molti analisti ritengono tuttavia che alla base del calo delle quotazioni degli ultimi mesi ci sia una contrazione della domanda globale, in particolare dei paesi sviluppati, che annuncia l’arrivo di una recessione.
Nel 2018 il Brent ha preso il 20%
Nel 2018 il greggio ha registrato il primo calo annuale dal 2015. Nel corso dell’anno il Brent ha perso oltre il 20% e il Wti il 25%. Quest’ultimo a inizio 2018 scambiava intorno ai 62 dollari al barile, il Brent a 68 dollari. Il 3 ottobre il Brent toccava 86,29 dollari mentre il greggio Usa 76,41, livelli massimi dal 2014. Il 24 dicembre il Brent veniva scambiato a 50 dollari (-42% su ottobre) e il Wti a 42,53 dollari (-44%). Quotazioni lontane anni luce rispetto a quelle dell'11 luglio del 2008, prima della crisi finanziaria, quando i future sul Wti raggiunsero il massimo storico a 147,27 dollari al barile, e quelli sul Brent salirono all'Ice di Londra fino a 147,50 al barile.

Cosa succederà nel 2009?
Gli analisti esprimono grande incertezza per il 2019. Secondo la Reuters, che ha interpellato diversi esperti del settore, nella media di quest’anno, il Brent quoterà al di sotto dei 70 dollari a 69,13, oltre 5 dollari sotto la proiezione precedente e inferiore alla media del 2018 (71,76 dollari al barile). Per quanto riguarda il Wti dovrebbe attestarsi in media a 61,05 dollari a fronte dei 67,45 dollari delle previsioni precedenti e dei 64,98 dollari della media del 2018. “La prima parte dell’anno dovrebbe essere dominata dalle preoccupazioni riguardanti l’eccesso di offerta”, spiegano gli analisti che prevedono un nuovo intervento Opec Plus ad aprile a causa dell’incremento della produzione Usa e dell’indebolimento della domanda globale.
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