Più diversificazione che svolta green: la verità sul Fondo Sovrano norvegese

Ma davvero la Norvegia non vuole più investire nel petrolio e convertire completamente la propria economia?

Più diversificazione che svolta green: la verità sul Fondo Sovrano norvegese

Ma davvero la Norvegia non vuole più investire nel petrolio e convertire completamente la propria economia? E’ da un po’ di tempo che circolano queste voci supportate da dichiarazioni ufficiali del governo di Oslo. Sembra che il paese voglia seguire la strada intrapresa (ma anche in questo caso i dubbi non mancano) dall’Arabia Saudita che, con la svolta impressa dal principe Mohammed bin Salman, con il programma Vision 2030, ha puntato sulla diversificazione della propria economia. Come è possibile che il più grande produttore di petrolio del mondo (Arabia Saudita) e d’Europa (Norvegia) decidano questa inversione a 360 gradi? In realtà non è proprio così. Secondo Bloomberg più che una svolta green si tratta della più classica diversificazione.

Qualche tempo fa la premier conservatrice Erna Solberg – donna pragmatica che appoggia la svolta ambientalista da un lato, ma dall’altro non esclude l’avvio di ricerche petrolifere nel paradiso naturale delle isole Lofoten - aveva detto: “Non possiamo pensare di vivere di rendita grazie al petrolio". Di lì a poco la decisione del Fondo Sovrano norvegese, il più grande del mondo con un tesoro di mille miliardi di dollari, che ha annunciato di voler alleggerire la propria posizione di investimenti in petrolio, con conseguente ribasso per tutti i maggiori titoli di compagnie del settore, ed euforia delle associazioni ambientaliste.

La quota di investimenti nell’oil&gas del Fondo è pari al 6%, circa 37 miliardi di dollari. Detiene l’1,3% di tutte le azioni quotate, comprese le partecipazioni in società responsabili di emissioni inquinanti pari a 90-100 milioni di tonnellate di CO2. La Banca Centrale norvegese – che controlla il Fondo - ha detto chiaramente che non si tratta di una posizione sul futuro del petrolio e del gas. Non un abbandono, quindi. Più una strategia di investimento che una scelta ‘politica’.

Dal 2014 i rendimenti del Fondo, sono diminuiti a causa del calo del prezzo del petrolio. Un bel guaio per il Governo norvegese che attinge dal forziere per pagare le pensioni e garantire il magnifico welfare ai cittadini. Proprio la Solberg si è vista costretta, per la prima volta, a prelevare dal Fondo per far fronte ad esigenze di budget del Paese. Da considerare, negli ultimi anni, la perdita di 50.000 posti di lavoro nel settore petrolifero proprio per il crollo delle quotazioni.

Tutto questo è servito solo a certificare la sovraesposizione della Norvegia al petrolio e al gas, che rappresentano circa un quinto del Pil del paese e metà delle esportazioni. Quindi, almeno per ora, dice Bloomberg, è prematura la festa degli ambientalisti. Quella di Norges Bank non è una svolta green ma “una diversificazione vecchio stile” che dimostra come la Norvegia non abbia perso fede nel petrolio e nel gas. Vedremo cosa succederà quando i prezzi del petrolio torneranno a salire.  



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