Perché useremo il petrolio ancora a lungo
Continua la sete di oro nero, aumenta la produzione. E questo spiega i gilet gialli in Francia

Il mondo ha ancora sete di petrolio che si conferma, nel 2018, la prima fonte di energia con una quota del 32%, seguita dal carbone con il 27% e dal gas con il 22%. Nel settore dei trasporti (merci e persone) il peso dei prodotti petroliferi è attualmente intorno al 92%. I dati sono quelli del Preconsuntivo 2018 dell’Unione petrolifera. Ma tale tendenza è confermata anche dall’ultimo World Energy Outlook dell’Iea (International Energy Outlook) in cui si specifica che nel settore auto la domanda di greggio raggiungerà il picco a metà del decennio 2020 ma, dall’altro lato, la petrolchimica e il trasporto pesante, aereo e navale, manterranno i consumi petroliferi mondiali lungo una traiettoria di crescita.
La domanda mondiale di petrolio nel terzo trimestre del 2018 ha superato per la prima volta la soglia psicologica dei 100 milioni di barili al giorno. In media annua dovrebbe attestarsi intorno ai 99,2 milioni di barili al giorno, in aumento di 1,3 milioni rispetto al 2017, di poco inferiore alla crescita registrata nel 2017 (+1,5 milioni) e alle previsioni di inizio 2018 (+1,4 milioni). Determinante il contributo della Cina e degli altri Paesi asiatici che insieme, con circa 27 milioni di barili (+3,5% rispetto al 2017), hanno rappresentato oltre il 52% del totale non-Ocse. Deciso progresso per Stati Uniti e Canada (+1,8% sul 2017) che hanno coperto quasi per intero l’incremento registrato nei Paesi Ocse. Stabile l’Europa che ha confermato i 14,3 milioni di barili dello scorso anno (intorno il 30% del totale Ocse), interrompendo così la fase di crescita iniziata nel 2014.
In crescita anche la produzione di greggio, gli Usa sono quelli che estraggono di più
In crescita, nel 2018, anche la produzione mondiale di greggio che dovrebbe chiudere con una media di 99,8 milioni di barili al giorno, pari ad un progresso di 2,3 milioni b/g (+2,4%) rispetto al 2017, dopo aver superato i 101 milioni nel mese di agosto. Con un volume totale di 15,4 milioni b/g, quasi l’equivalente della produzione di Arabia Saudita, Iraq ed Ecuador messi assieme, gli Stati Uniti hanno registrato un vero e proprio record storico, coprendo quasi per intero l’incremento della produzione totale. In soli otto anni, con lo sviluppo dello shale oil gli Usa hanno praticamente raddoppiato i loro volumi (+97%), a fronte del +11,5% della Russia e del +11,3% dei Paesi Opec. La produzione Opec è invece rimasta sostanzialmente invariata (in diminuzione di 30.000 b/g rispetto al 2017). I Paesi Opec, nel loro complesso, nel 2018 hanno confermato gli impegni del 2017, compensando dal primo luglio il crollo della produzione venezuelana con maggiori estrazioni da parte degli altri Paesi membri, per circa 1 milione b/g.
Alla luce di questo è chiaro come la transizione energetica verso fonti verdi sia un percorso lungo e che necessita il cambiamento di tutta la filiera industriale. In questo senso il caso dei gilet gialli in Francia così come l’iter dell’ecotassa in Italia sono emblematici.
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