Perché i petrolieri temono più Uber dell'auto elettrica
Il car sharing potrebbe rappresentare una seria minaccia per i produttori di auto e per le compagnie petrolifere, riducendo la quota di mezzi privati in circolazione

La vera minaccia per i petrolieri non è rappresentata dall’auto elettrica o dalle energie rinnovabili, ma dalle società di car sharing e mobilità condivisa come Uber. A dirlo non sono i tassisti ma il maggior produttore di petrolio al mondo, la compagnia saudita Saudi Aramco. In un’intervista al 'Financial Times' il ceo del gruppo, Amin Nasser, spiega come i servizi di condivisione di viaggio rappresentino un motivo di “maggiore preoccupazione” nell’immediato. Le vendite e la diffusione dell’auto elettrica cresceranno rapidamente ma per gli anni a venire conteranno ancora poco e rappresenteranno, secondo le stime del gruppo saudita, il 10-20% del parco circolante entro il 2040 “nella più ottimistica delle ipotesi”.
"L'uso di auto elettriche crescerà. Non abbiamo nessun dubbio al riguardo", ha detto Nasser "ma allo stesso tempo bisogna essere realisti". L'Iea stima che ci saranno 50 milioni di veicoli elettrici sulle strade entro il 2025 e quasi 300 milioni entro il 2040 dai quasi 2 milioni attuali. A fronte di tale crescita, la domanda globale di petrolio scenderà del 2%.
Gli investitori sono già al lavoro per capire gli effetti reali e finanziari della mobilità elettrica sui produttori di petrolio e in particolare sul colosso saudita che dovrebbe quotarsi in Borsa il prossimo anno.
Lo "spettro" del car sharing
Ma Yasser Mufti, Executive Director of Business Development del gruppo, è convinto che il car sharing sia un “motivo maggiore di preoccupazione nell'immediato più dei veicoli elettrici privati”. "Sono pronto a scommettere che il car sharing sia un fenomeno molto più avanzato" dell’auto elettrica. Per Mutfi infatti "ci sono almeno due decenni di crescita del petrolio nell'intero settore dei trasporti”.
Uber e i suoi rivali hanno già causato danni ai tradizionali operatori di taxi in giro per il mondo e nel futuro il car sharing potrebbe rappresentare una seria minaccia per i produttori di auto e per le compagnie petrolifere, riducendo la quota di auto private possedute e rendendo il trasporto più efficiente.
Per questo, spiega Mufti, Saudi Aramco "sta guardando all'intera catena di valore della mobilità per investire e riposizionarsi” in risposta al cambiamento repentino della mobilità. "Stiamo studiando l'intera faccenda”, spiega. Proprio per non farsi prendere in contropiede, il Fondo sovrano saudita ha annunciato lo scorso anno un investimento di 3,5 miliardi di dollari per comprarsi il 5% di Uber, la società statunitense presente ormai in quasi tutto il mondo (più di 700 città e 84 paesi).
Il passaggio all'utilizzo dell'auto condivisa solleva domande sul futuro della vendita di carburanti tra i produttori di petrolio. Tra le novità allo studio ci potrebbe essere un cambio del modello di business. Invece di vendere benzina o elettricità al consumatore, Saudi Aramco sta studiando la possibilità di cedere il carburante direttamente all’operatore di car sharing.
"Ci saranno molte occasioni interessanti da cercare nelle diverse parti della catena del valore", sottolinea Mufti. Uno degli schemi di accordo a cui si pensa prevede la partecipazione della compagnia energetica a una parte dei ricavi della società di car sharing in cambio della fornitura di carburante. Il petrolio comunque non andrà in pensione molto presto, scommettono a Riad. Saudi Aramco ritiene infatti che la domanda di carburanti tradizionali nei paesi in via di sviluppo sia destinata ad aumentare alla luce della forte crescita demografica e della diffusione della ricchezza. "In quei Paesi la classe media aumenterà e vorrà modelli di vita moderni. Causando una crescita della domanda di energia", assicura Nasser.
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