Tra 15 anni potremo produrre energia come fanno le stelle
L’energia rinnovabile perfetta, non dipendente dalle condizioni meteo e dall’alternarsi del giorno e della notte come il solare e l’eolico

Produrre energia come fanno le stelle. L’energia rinnovabile perfetta, non dipendente dalle condizioni meteo e dall’alternarsi del giorno e della notte come il solare e l’eolico. Insomma una fonte sicura, sostenibile, inesauribile e senza alcuna emissione di gas serra.
Proprio come quella prodotta dalle stelle che si sprigiona attraverso la fusione nucleare, quel processo nel quale due atomi si fondono dando luogo a una reazione esotermica (che crea energia). Si tratterebbe di una vera e propria svolta epocale perché il mondo potrebbe disporre di energia illimitata e pulita.
La fonte di combustione, l’idrogeno, infatti non inquina, ce ne è in quantità pressoché illimitata, non emette CO2 o altre sostanze inquinanti. Inoltre la fusione non presenta rischi di esplosioni come la fissione (il sistema usato comunemente nelle centrali nucleari) che consiste nel processo inverso: l’atomo viene spaccato e in questo modo si crea una grande quantità di energia ma anche di radiazioni innescando una reazione a catena che a volte ha creato disastri (ultimo dei quali Fukushima).
Nella fusione invece a differenza della fissione non c’è reazione a catena e quindi è molto più facile da gestire. Inoltre non ci sono scorie nucleari e non c’è bisogno di materiale fissile (uranio e plutonio).
Il vero problema finora derivava dal fatto che per arrivare alla fusione fosse necessaria una quantità di energia pari o superiore a quella prodotta dal processo per realizzarla. Se devo impiegare più energia per fondere insieme due atomi di idrogeno rispetto a quella prodotta è chiaro che non conviene.
Per poterlo fare infatti bisogna riprodurre quello che succede nel Sole e nelle altre stelle. I nuclei di atomi di idrogeno devono essere immersi in un gas ionizzato allo stato di plasma alla temperatura di 200 milioni di gradi. In questo plasma ad altissima temperatura vengono fatti fondere gli atomi che sprigionano energia. Il problema, facile da capire, è dove mettere questo plasma che a 200 milioni di gradi fonderebbe qualsiasi contenitore. La svolta viene da Boston, sede del Massachusetts Institute of Technology dove hanno studiato dei campi magnetici che imprigionano il plasma impedendogli di toccare le pareti della camera del reattore.
Nel progetto c’è anche un po’ di Italia visto che Eni e Commonwealth Fusion Systems (CFS), società nata come spin-out del Mit, hanno sottoscritto un accordo che permetterà al gruppo italiano di acquisire una quota del capitale di CFS per sviluppare il primo impianto che produrrà energia grazie alla fusione.
CFS è stata costituita da un gruppo di ex ricercatori e scienziati del Mit che da anni è impegnato nelle ricerche sulla fisica del plasma e sulla fusione. Eni - entro il secondo semestre del 2018 - acquisirà una quota rilevante nella società a fronte di un investimento iniziale di 50 milioni di dollari e entrerà a far parte del Consiglio di Amministrazione dando il proprio contributo anche in termini di risorse e know how industriale. Le attività previste con CFS si articolano in tre fasi: la prima prevede lo sviluppo di magneti a superconduttori ad alta temperatura, la seconda la realizzazione di un reattore sperimentale, la terza e ultima la costruzione ed esercizio del primo impianto industriale che possa garantire una produzione continuativa e remunerativa di energia da fusione.
Per l’amministratore delegato Claudio Descalzi “la fusione è la vera fonte energetica del futuro, poiché completamente sostenibile, non rilascia né emissioni né scarti, ed è potenzialmente inesauribile. Un traguardo che noi di Eni siamo sempre più determinati a raggiungere in tempi brevi”. Per Robert Mumgaard, ceo di Commonwealth Fusion System, il primo reattore sarà pronto entro il 2021 e “se tutto va bene per il 2033 potremo produrre energia elettrica tramite la fusione”.
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