Per millenni il ritmo della vita quotidiana delle persone è stato scandito dal susseguirsi del ciclo giornaliero luce-buio. Al calar del sole quasi tutte le attività umane venivano interrotte, per l’impossibilità di proseguirle al buio.
Di notte, sino alla fine del Settecento, l’illuminazione delle città era in gran parte affidata alle fiaccole poste davanti alle insegne di botteghe e osterie, e alle lampade votive delle immagini sacre. La situazione non era molto diversa da quella del Medioevo, quando le comunità cittadine si preparavano alla notte cercando di prevenire possibili pericoli e insidie: al tramonto ci si ritirava in casa, le porte delle città venivano chiuse e con l’oscurità vigeva il coprifuoco.
Va poi ricordato che le abitazioni non disponevano di imposte dotate di vetri isolanti e perfettamente trasparenti, come al giorno d’oggi. I reperti archeologici delle case romane, anche patrizie, ci mostrano per esempio che di giorno, nei mesi freddi, anche nella Città Eterna si era costretti a scegliere tra luce in entrata e calore in uscita dalle finestre: non era possibile avere una casa calda e allo stesso tempo inondata di luce.
Per millenni l’uomo ha utilizzato il fuoco di un braciere per scaldarsi, cuocere cibi e illuminare la notte. Per produrre luce ha poi progressivamente imparato a «domare» le fiamme con l’uso di torce e lanterne, di cui si trovano testimonianze storiche e archeologiche, anche di grande pregio artistico, presso tutte le civiltà.
Lo sfruttamento massiccio dei combustibili fossili, a cominciare dal carbone nel Seicento, iniziò a rivoluzionare non soltanto il sistema produttivo ma anche la vita quotidiana delle persone. L’utilizzo del cosiddetto gas di città per l’illuminazione pubblica, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, costituisce un’autentica icona della rivoluzione industriale e tecnologica.
Fin oltre la metà dell’Ottocento, in decine di milioni di abitazioni rurali in tutto il mondo l’illuminazione artificiale si basava su combustibili di origine animale o vegetale, come per esempio l’olio di balena o la cera d’api.
Nel 1879 Thomas Edison brevettò la lampada a lamento di carbone. Questo dispositivo era 20 volte più efficiente di una candela, che trasforma in luce un misero 0,01% dell’energia chimica della cera bruciata. Il dispositivo di Edison, messo a punto proprio negli anni in cui cominciavano a svilupparsi le tecnologie elettriche, fu un passaggio cruciale verso la moderna illuminazione, ma era ancora troppo inefficiente (0,2%) nel convertire l’elettricità, che a quel tempo era costosissima, in luce.
Nei decenni successivi furono introdotte e perfezionate le lampade a incandescenza a tungsteno (1906), poi le lampade ai vapori di sodio dal colore giallo arancio (anni Trenta, per decenni lo standard per l’illuminazione pubblica), i tubi fluorescenti (spesso erroneamente chiamati «lampade al neon», anni Quaranta) e le lampade alogene (anni Sessanta).
Quelle che comunemente sono definite «lampade a risparmio energetico», tecnicamente compact fluorescent lamps (cfl), furono introdotte attorno al 1980 e hanno un’efficienza di conversione in luce 50 volte superiore alla lampadina di Edison.
Le lampadine a led sono entrate sul mercato negli anni 2000 e diventeranno dominanti in tutti i settori (case, spazi commerciali, mezzi di trasporto) entro il 2020; hanno un’efficienza superiore del 50% rispetto alle cfl.
Oggi, grazie ai sistemi artificiali di illuminazione, il giorno sfuma nella notte senza che neppure ce ne accorgiamo: tutte le attività umane continuano regolarmente. La liberazione dalle tenebre costituisce senza alcun dubbio una delle più grandi conquiste della civiltà umana.
Anche in questo caso però, come avviene per l’alimentazione, ci siamo lasciati un po’ prendere la mano. Infatti l’uso della luce artificiale è diventato così pervasivo che si è arrivati all’inquinamento luminoso, un fenomeno che limita la visione delle stelle nelle zone più densamente popolate del pianeta e può avere e etti negativi sulle piante e sugli uccelli migratori, alterando i loro ritmi vitali.
Questa forma «moderna» di inquinamento è ben illustrata dalle immagini della Terra di notte vista dallo spazio. I suggestivi collage di immagini riprese dai satelliti mostrano che le regioni più ricche e popolose del pianeta brillano nella notte, mentre quelle più povere, remote e disabitate sono immerse nelle tenebre.
Geograficamente questo andamento è sovrapponibile alle mappe della crescita economica; Cina, India, sud-est asiatico ed Europa orientale oggi sono molto più brillanti di quanto apparivano nel 1990. L’Africa è ancora quasi completamente buia. Di fatto l’evoluzione dell’immagine della Terra di notte illustra l’andamento della crescita economica e, in ultima analisi, l’aumento dei consumi energetici.
A ben pensare, però, questa suggestiva informazione ci racconta anche di un gigantesco spreco. Il cielo non ha alcun bisogno di essere illuminato dall’uomo: la luce che vediamo dallo spazio è in buona parte sprecata.
È auspicabile che negli anni a venire le immagini dallo spazio possano raccontarci la parabola dello sviluppo umano in modo altrettanto chiaro, ma con immagini che mutano nel tempo nella direzione opposta: la Terra di notte che progressivamente si spegne, perché abbiamo imparato a vincere le tenebre in modo più efficiente e razionale. Gli astrofili ne sarebbero entusiasti. Gli uccelli migratori anche.