Il legname è stato sempre usato, oltre che per soddisfare bisogni energetici basilari come cottura dei cibi e riscaldamento, anche come materia prima per costruire abitazioni, navi e manufatti di ogni tipo. Nel 1891 negli Stati Uniti, che allora contavano 31 milioni di abitanti, il 90% dell’energia era ottenuto dal legno, che cominciava a scarseggiare. Anche nel continente europeo si è verificato per secoli un progressivo disboscamento, che divenne a un certo punto insostenibile.
Oggi la deforestazione continua in altre regioni del mondo: l’agenzia dell’onu per il cibo e l’agricoltura (fao) stima che ogni anno vengano distrutti oltre 130000 km2 di foreste, un’area pari a circa la metà della super cie dell’Italia. I Paesi europei sono tra i maggiori importatori di questo legname.
A cominciare dall’Inghilterra, tra il Cinquecento e il Seicento si iniziò perciò a sfruttare una fonte energetica meno facile da reperire (occorreva scavare) ma molto più abbondante: il carbone. Esso era già noto da tempo, ma no a quell’epoca non era stato molto sfruttato perché le abbondanti risorse di legname lo rendevano poco attraente.
A parità di peso il carbone è però un combustibile molto più potente della legna, con cui era possibile ottenere una quantità molto più elevata di lavoro utile. La domanda di carbone cresceva di continuo e questo obbligò a fare estrazioni sempre più in profondità; agli inizi dell’Ottocento erano già state realizzate miniere profonde 300 metri.
È bene ricordare che le condizioni di vita dei minatori, spesso donne e bambini, erano in molti casi insopportabili e il costo umano di questa attività estrattiva fu enorme (e in certi Paesi ancora lo è). Già secoli fa, dunque, l’umanità ha incominciato a fare esperienza dei danni – e non soltanto dei benefici – portati dai combustibili fossili.
Con una crescente disponibilità di carbone iniziò anche ad aumentare la disponibilità di metalli lavorati, ricavati da processi di fusione in forni ad alta temperatura, e con essi incominciò l’era delle macchine.
La più importante innovazione resa possibile dall’abbondante disponibilità di carbone fu la caldaia a vapore, brevettata dallo scozzese James Watt nel 1769. Essa convertiva l’energia chimica del carbone in energia termica e poi in energia meccanica. La forza muscolare umana e animale e l’energia dei mulini a vento o ad acqua, dopo millenni, potevano essere comodamente sostituite da potenti macchine: era l’inizio della rivoluzione industriale.
Alla fine del diciannovesimo secolo l’uso del carbone quale combustibile industriale aveva superato quello del legno e degli scarti dell’agricoltura. Inghilterra e Stati Uniti erano le nazioni con la più alta produzione di carbone ed erano perciò all’avanguardia nella transizione dalla tradizionale economia artigianale alla produzione industriale.
La macchina a vapore di Watt, rudimentale e inefficiente, fu progressivamente perfezionata: alla ne dell’Ottocento le caldaie a vapore erano 30 volte più potenti e 10 volte più e cienti dei modelli di inizio secolo, anche se rimanevano troppo pesanti per essere utilizzabili nei trasporti su strada.
Nel 1900 il carbone era la fonte del 95% dell’energia commerciale. Poi iniziò l’era del petrolio. I primi a estrarre petrolio dalle viscere della Terra, da tempo immemorabile, sono stati probabilmente i cinesi. Tuttavia l’estrazione industriale del cosiddetto «oro nero» ebbe inizio negli Stati Uniti nel 1859 (Oil Creek in Pennsylvania). Nella seconda metà dell’Ottocento l’estrazione petrolifera si sviluppò in altre zone degli Stati Uniti (Texas, California), in Romania, sul Mar Caspio e in Indonesia.
Nel primo decennio del Novecento incominciarono le trivellazioni in Messico, Iran e Venezuela. Il primo pozzo petrolifero in Arabia Saudita iniziò la produzione soltanto nel 1938. Nel secondo dopoguerra incominciò a svilupparsi in modo consistente lo sfruttamento di giacimenti di un altro combustibile, il gas naturale, le cui proprietà – prime fra tutte un minore impatto ambientale – lo hanno reso un valido sostituto del carbone e del petrolio in molte applicazioni.
Con il petrolio e con l’invenzione dei motori a combustione interna iniziò il forte sviluppo dei trasporti. Lo spartiacque tra l’era del carbone e l’era del petrolio si può fissare nel 1911, quando l’Inghilterra decise di convertire la propria otta dall’alimentazione a carbone a quella a petrolio.
A differenza dell’era della legna, che finì per carenza di materia prima, l’era del carbone iniziò a tramontare non per mancanza di carbone, ma perché si rese disponibile un’alternativa più valida. In realtà l’era del carbone, particolarmente nei processi industriali, non è affatto finita: ancora oggi esso fornisce quasi il 30% dell’energia primaria (sotto forma di energia termica) principalmente usata per produrre elettricità.
Negli ultimi anni il tasso di aumento del consumo di carbone è rallentato, grazie al calo netto di consumi negli Stati Uniti (– 25%) e anche all’inattesa diminuzione del consumo cinese (–3,5% nel 2015), compensati in parte dai forti aumenti registrati in alcuni grandi Paesi come India e Indonesia.