La conferenza sul clima in Polonia non si è aperta sotto i migliori auspici
il presidente polacco Andrzei Duda ha dichiarato apertamente che il suo Paese “non può rinunciare al carbone” definendo questa fonte “strategica” perché garantisce “la sovranità energetica”.

Non si è aperta bene la conferenza Onu sul clima (Cop 24) di Katowice nonostante gli allarmi che arrivano da ogni parte del mondo sull’aumento della temperatura terrestre e sui suoi effetti devastanti sul pianeta e, di conseguenza, sul genere umano. Il padrone di casa, il presidente polacco Andrzei Duda ha dichiarato apertamente che il suo Paese “non può rinunciare al carbone” definendo questa fonte “strategica” perché garantisce “la sovranità energetica”. Certo, da uno dei paesi del cosiddetto blocco Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) e tra i primi sostenitori in Europa del sovranismo, anche energetico, forse era sbagliato attendersi qualcosa di diverso.
Carbone per sempre
La Polonia, infatti, ha la sua economia basata sul carbone. Con la Germania è uno degli Stati europei che inquina di più: insieme sono responsabili di oltre il 50% delle emissioni di anidride carbonica derivante dal carbone. Attualmente circa l’80% della produzione elettrica deriva da questa fonte fossile anche se nel paese c’è un dibattito per ridurre questa dipendenza almeno al 40% entro il 2040. Troppo poco per i target europei.
All’inizio di quest’anno il governo ha annunciato di voler rimodulare il proprio mix energetico, riducendo l’energia prodotta da carbone al 60% nel 2030 e al 50% nel 2050. L’Europa punta a ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030. Come è evidente i due obiettivi non sono proprio in linea.
Di fronte alla faccia stupita del presidente dell’Onu Antonio Guterres, Duda si è giustificato ricordando che la Polonia ha già tagliato del 30% le emissioni di CO2 negli ultimi 30 anni. Dal canto suo Guterres ha ribattuto che “quella sul clima è già oggi una questione di vita o di morte”.
Le buone notizie
Le buone notizie arrivano invece dalla Banca Mondiale che ha annunciato un finanziamento di 200 miliardi di dollari per sostenere le azioni per contrastare il cambiamento climatico tra il 2021 e il 2025, una somma doppia rispetto al piano di investimenti precedente e indirizzato, in particolare, a favore dei paesi in via di sviluppo. Ricordiamo che l’obiettivo del ‘gioco’ è salvare il mondo mantenendo la temperatura, rispetto ai livelli pre-industriali, ben al di sotto dei 2 gradi C e possibilmente entro 1,5 gradi.
L’azione dei Governi da sola però non basta. “Nel nostro scenario – spiega David Hone, chief advisor per il cambiamento climatico di Shell al Sole 24 Ore – l’intero processo di transizione è sì guidato dai governi, ma avviene in presenza di una costante pressione della società. Di recente abbiamo assistito alle proteste in Francia dei gilet gialli contro l’implementazione della nuova politica dei prezzi del carburante. Ecco, questo è un esempio che illustra bene il tenore della sfida che ci aspetta”.
In assenza degli Stati Uniti il cui presidente Donald Trump di cambiamento climatico non vuole nemmeno sentire parlare (basta leggere il punto 21 della dichiarazione finale all’ultimo G20 di Buenos Aires) gli occhi sono puntati sulla Cina (che con gli Usa sono il Paese che inquina di più). L’onere e l’onore di portare avanti la battaglia a favore del clima spetta a Pechino così come il successo o meno del vertice di Katowice. Con buona pace del presidente Duda.
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