Cosa c'entrano Amazon, la Juventus e CR7 col prezzo del carbonio
In un anno il prezzo della CO2 è quadruplicato. Un fenomeno eclatante, che ha pochi paragoni anche in altri settori. A cosa è dovuta. Una breve analisi

Un anno fa il prezzo della CO2 sul mercato dell’ETS (Emissione Trading System) era intorno ai 6 euro per tonnellata. Oggi veleggia tra i 20 e i 25. In un anno il prezzo è quasi quadruplicato, dopo sei anni di debolezza che lo hanno costretto nella fascia 4-8 euro/ton. CO2. Le cause del basso prezzo avevano operato sia sul lato della domanda che dell’offerta di quote di carbonio: tra le prime, l’astenia della domanda di elettricità e, più in generale, di energia. Tra le seconde, tetti alle emissioni troppo generosi, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, e abbondanza di crediti sul mercato internazionale.
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Poi, nel 2018 è cominciato il risveglio: il prezzo ha superato prima la barriera degli 8 euro, a gennaio, poi quella dei 9, a febbraio, poi quella dei 10, degli 11 e dei 12 euro a marzo, per impennarsi vorticosamente dopo maggio.
Di nuovo, le ragioni vanno ricercate nel gioco della domanda e offerta di quote: la prima è stata stimolata dalle elevate temperature estive che hanno, da una parte incrementato la domanda elettrica attraverso il maggior ricorso all’aria condizionata, dall’altra indebolito l’offerta di elettricità a zero contenuto di carbonio (idro e nucleare) a causa della scarsità idrica. Sul lato dell’offerta, l’introduzione della Market Stability Reserve e la riforma complessiva dell’ETS voluta dalla Commissione Europea hanno creato le condizioni per una contrazione delle quote immesse nel sistema, tanto nel presente quanto, soprattutto, nel futuro. A sua volta, ciò ha creato aspettative di una scarsità futura di quote che ha indotto gli operatori ad accrescere la loro domanda: di qui l’esplosione del prezzo.

fonte: sandbag.org.uk
Usiamo la parola esplosione perché di questo si tratta: un prezzo che sale del 400% in un anno è fenomeno eclatante. Per avere un termine di paragone, l’impennata del prezzo dell’azione Amazon – azienda che da sola vale una volta e mezzo l’intero mercato azionario italiano – è stata assai più lenta: per passare dai 500 dollari agli attuali 2.000 euro, ovvero per quadruplicare, Amazon ha impiegato 3 anni. Certo, alle volte il mercato azionario offre esempi di cambi fulminei nei prezzi, assai più veloci di quanto sta accadendo alla CO2: dal ‘97 al ‘99, in soli due anni, la stessa azione Amazon ha avuto picchi di incremento di 50 volte. Più recentemente, e più vicino a noi, il prezzo dell’azione Juve è raddoppiato in circa un mese, a seguito dell’acquisto di Cristiano Ronaldo.
Questi fenomeni sono consueti su mercati liquidi quali quelli azionari ma anche su quelli immobiliari, come insegna la crisi mondiale del 2008, originata da una bolla speculativa prodottasi nel mercato delle abitazioni statunitensi. Per usare le parole del premio Nobel per l’economia Robert Schiller, quella dei mercati è “un’esuberanza irrazionale”, e dunque tutto può accadere. Le bolle si creano, si espandono e scoppiano: è nella natura delle cose, anzi dei mercati.
La domanda che allora si pone è se per la CO2 siamo di fronte, per così dire, ad un effetto CR7 o ad un effetto Amazon. Nel primo caso, sono le aspettative di futuri goal e di futuro merchandising venduto a portare su il prezzo del titolo, mentre nell’altro sono le aspettative di futuri, ingenti utili legati ad un parco clienti pari a diverse centinaia di milioni di persone. In entrambi i casi, il ruolo delle aspettative si riflette nel noto indicatore PE (rapporto prezzo/utili) che registra valori superiori a 100, laddove valori di equilibrio suggerirebbero un rapporto intorno al 20.
In parole semplici, gli utili presenti non giustificano il prezzo: di qui il ruolo delle aspettative. Ora, nel caso della CO2 non esiste un PE, o un indicatore analogo sul quale basarsi per rispondere alla domanda. C’è da ritenere, comunque, che le aspettative di future scarsità di quote di carbonio sul mercato giochino un ruolo piuttosto parziale e che la dinamica del prezzo, nonostante la velocità dell’incremento, non sia irrazionale.
Come abbiamo visto, sono i fondamentali che stanno portando il prezzo su. E se, da una parte, quelli dal lato della domanda riflettono, almeno in parte, un fenomeno transitorio – l’estate calda – quelli sul lato dell’offerta sono l’esito di politiche climatiche dell’Unione Europea sempre più stringenti che annunciano i tempi che verranno. È interessante osservare come policy che impattano l’offerta di crediti - la Market Stability Reserve - alterano anche la loro domanda, agendo sulle aspettative degli agenti, che si proteggono da future scarsità di crediti di carbonio acquistandone maggiori volumi. La dinamica, dunque, è piuttosto semplice, resta da capire quanto in alto essa porterà il prezzo.
Va sottolineato che già in passato, ad esempio nel 2008 si erano avuti prezzi superiori ai 30 euro per tonnellata di CO2. Ma poi il fenomeno non era durato: la depressione economica del 2008 aveva agito come un piano inclinato sul quale, inesorabilmente, la crescita del PIL, la domanda di energia e quella di quote di carbonio erano rotolate senza possibilità di appigli. Per la CO2, la fine del piano inclinato erano stata la fascia 4-8 euro/ton che aveva depresso il mercato dell’ETS fino al punto da indurre, tanto gli operatori quanto gli studiosi, a porre in dubbio l’efficacia intrinseca dello strumento. Con fatica, dopo anni di consultazioni, dibattiti e battaglie anche legali – la questione della contrazione dell’offerta di quote di carbonio è finita addirittura davanti alla Corte Europea di Giustizia – l’Unione Europea è riuscita a eliminare la pendenza del piano e a ridare credibilità all’ETS.
Ora siamo entrati in una nuova fase che spinge i prezzi verso l’alto. Il volano di questo movimento non è solo la ripresa economica ma anche – nonostante le criticità intrinseche – l’Accordo di Parigi, che simbolicamente immette il sistema energetico mondiale in una nuova era.
Dunque, rispetto ai prezzi sui 30 euro del 2008, si è fatto un passo avanti perché il negoziato internazionale sul clima ha indicato un sentiero di riduzione dei gas serra che, seppure insufficiente a centrare il target dei 2° C, implica tagli robusti delle emissioni. Va da sé che gli alti prezzi del carbonio non siano altro che l’altra faccia della medaglia dell’ampiezza dei tagli.
Quanto in alto andranno tali prezzi? La domanda è tutta qui e ha il suo doppio nell’altra, più tangibile: quanto ampi saranno i tagli alle emissioni? Maggiori questi, maggiore il prezzo. Sulla questione, essendo il suo orizzonte temporale dispiegato su decenni, non si possono fare che ipotesi di scenario. L’incertezza è massima perché, per definizione, uno scenario è un’ipotesi, un possibile schizzo della realtà futura che si realizzerebbe qualora determinate condizioni si verificassero. In altre parole, non sappiamo se i tagli dei diversi paesi saranno pari, ad esempio nel 2040, al 10 o al 20 o al 40% delle emissioni odierne.
D’altra parte, se anche lo sapessimo, rimarrebbe un’ampiezza di incertezza considerevole, semplicemente perché non esiste un prezzo del carbonio univoco implicito in un determinato scenario di emissioni. Così come queste ultime dipendono da condizioni di riferimento plurime – es. trend del mix e dell’efficienza energetica – che le rendono incerte, uno scenario di emissioni certo è esso stesso l’esito di parecchie combinazioni possibili di condizioni che, potenzialmente, possono determinarlo.
Come direbbe Ulrich, il geniale “Uomo senza Qualità” di Musil, la realtà è impregnata di senso della possibilità: di qui la sua incertezza intrinseca ed ineludibile. Ed i mercati, e quindi i prezzi, rappresentano uno degli ambiti incerti “par excellence”. Venti anni fa, all’indomani della firma del Protocollo di Kyoto, le prime stime del prezzo della CO2, proposti dai diversi centri di ricerca mondiali, congetturavano valori nell’ordine di centinaia di dollari per tonnellata. La stessa cosa accadde qualche anno prima, quando il primo grande esperimento sul trading delle emissioni venne lanciato negli USA: per una tonnellata di SO2 si ipotizzavano prezzi tra i 500 e gli 800 dollari. Poi, le cose andarono diversamente e i fatti dimostrarono che ridurre le emissioni di zolfo era assai meno complesso di quanto sembrasse: come risultato i prezzi si stabilizzarono, per anni nella fascia 60-200 dollari.
Sarà così anche questa volta? Difficile dirlo, poiché per la CO2 il gioco è assai più complesso della SO2, se non altro perché ha scala mondiale. E ciò rappresenta un elemento di ulteriore complessità, e non di semplificazione. La domanda, pertanto, rimane lì davanti a noi, sospesa nel paesaggio del nostro futuro, e quindi dei nostri figli e nipoti.
Dove andrà il prezzo della CO2? Sarebbe bene trovare una risposta perché essa ha un impatto sull’intero sistema energetico mondiale, poiché toccare la CO2 significa toccare l’energia. Dobbiamo abituarci ad un prezzo di 30 euro/ton CO2? E se fosse 100 euro, o 200 euro o anche 500 euro? La domanda non rappresenta una boutade, poiché sono questi valori che è possibile reperire in letteratura. A titolo meramente esemplificativo qui citeremo il Rapporto di Carbon Tracker “Carbon Clampdown: Closing the gap to a Paris compliant EU-ETS”, che ipotizza un prezzo sui 55 euro/ton CO2 entro il 2030, e le stime del modello della International Energy Agency che ipotizzano prezzi compresi tra 75 e 100 dollari/ton CO2 entro il 2030 e tra 125 e 140 dollari entro il 2040. In entrambi i casi ci si riferisce ad un prezzo coerente con gli obiettivi definiti nell’Accordo di Parigi. D’altra parte, lo stesso settore oil & gas ha da tempo adottato la pratica di utilizzare prezzi ombra della CO2, sia a fini decisionali che di stress test: secondo il rapporto “The business of pricing carbon”, pubblicato da C2ES, le maggiori compagnie del settore utilizzerebbero prezzi ombra compresi nel range 20-80 dollari/ton CO2. Tra i diversi studi sull’argomento, ci sembra particolarmente significativo l’articolo “Beyond 2020- Strategies and costs for transforming the European Energy System” (B. Knopf et al. 2013, Climate Change Economics, Vol. 4, Suppl. 1) che confronta le stime dei costi di abbattimento dei modelli più quotati in letteratura.
Focalizzato sulla Road Map dell’Unione Europea al 2050, lo studio è stato condotto nell’ambito dell’Energy Modelling Forum (EMF), una piattaforma di cooperazione e confronto tra studiosi del settore energetico-ambientale, fondata nel 1976 nell’ambito dell’Università di Stanford. Il progetto di ricerca perviene a risultati che potrebbero essere definiti confortanti per il medio periodo ma drammatici per il lungo. Il valore mediano del prezzo della CO2, che emerge dai diversi modelli internazionali, è pari a 76euro/ton CO2 nel 2030 nell’ipotesi di un taglio delle emissioni del 40% rispetto al 1990, ma sale addirittura a 521 euro/ton CO2 qualora il taglio fosse dell’80% nel 2050, come previsto dall’Unione Europea.
In altre parole, il sentiero di decarbonizzazione voluto dall’UE non è lineare: dopo il 2040, sfruttate ormai le opzioni di mitigazione più economiche, i costi di abbattimento lievitano esponenzialmente. C’è da sperare che nelle tre decadi che ci separano dal 2050 emergano nuove ed economiche tecnologie di abbattimento e cali sensibilmente il costo di quelle già esistenti, a ragione di economie sia di scala sia di apprendimento. Ciò non è da escludere, come dimostrano innumerevoli esempi nella storia dell’industria mondiale, dai PC agli smartphone.
Di certo, dovremmo abituarci ad un mondo in cui il carbonio sarà una commodity di grande rilevanza, costosa e freneticamente scambiata sui mercati, come accade oggi per il petrolio, il gas, il carbone o l’elettricità. Il risveglio estivo del prezzo della CO2 ci dice che è questo il mondo verso il quale stiamo andando. Forse il percorso non sarà lineare e ancora parecchie conferenze sul clima saranno necessarie per approdarvi, di certo però è lì che stiamo andando: in un mondo nel quale il prezzo del carbonio non sarà più un’appendice trascurabile dell’industria energetica, ma un suo costituente cruciale e rilevante, se non dominante.
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