Il rapporto pubblicato il 18 ottobre c.a dall’ISPRA sullo stato ambientale del Lago di Bracciano, a seguito delle ben note pressioni antropiche esercitate sul lago questa estate ed ampiamente documentate anche dall’informazione di massa, evidenzia il degrado e la perturbazione di molti habitat lacustri dovuti ad un eccessivo prelievo ed alla concomitante condizione di siccità. Quindi, abitudini umane e condizioni ambientali ne sono la causa.
Un aggettivo, riportato nel rapporto dell’ISPRA, mi ha particolarmente colpito (evidenziato in grassetto): ”La sostenibilità degli usi della risorsa nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi in ottemperanza a quanto prescritto dalla Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE (Water Framework Directive – WFD), non può che attuarsi attraverso un sistema informato e coordinato di azioni necessarie per la gestione adattiva delle risorse anche in relazione alla maggiore frequenza e intensità con cui si manifestano gli eventi estremi siccitosi e più in generale in relazione ai cambiamenti climatici.
Da ecologo, è fortemente radicata in me la consapevolezza che i sistemi viventi, a qualunque livello di organizzazione ci riferiamo, dall’organismo fino all’ecosistema, adattano il loro metabolismo sulla base delle risorse disponibili. I meccanismi di adattamento si realizzano su scale temporali diverse, risposte nel breve termine e risposte evolutive nel lungo termine. Per generare una capacità di gestione adattativa delle risorse è fondamentale sviluppare la consapevolezza del metabolismo dei sistemi socio-ecologici.
Il concetto dei sistemi socio-ecologici è stato sviluppato da studiosi come Holling, Folke, Berkes e può essere definito come “il complesso dei processi biofisici, che hanno luogo in un territorio, controllati in maniera integrata dalle attività espresse da un dato insieme di ecosistemi e da un dato insieme di attori sociali e istituzioni”. Gli attori sociali e le istituzioni possono generare le conoscenze e le strategie tecnologiche per utilizzare al meglio le risorse biofisiche, ma non possono intervenire sui tempi di rigenerazione delle risorse che sono invece dettate dalla capacità biofisica del sistema. Per i più smemorati o disattenti, rammento che le società dei paesi sviluppati erano già state ammonite nel 1972 da Meadows e colleghi che pubblicarono “Limits of Growth”. Gli autori innescarono una proficua discussione sulla sostenibilità dei moderni modelli di sviluppo evidenziando i limiti biofisici del pianeta al modello di crescita perpetua dell’economia. Al contrario, le società moderne sono state educate al mito della crescita perpetua e alla consapevolezza che le strategie tecnologiche possono offrire soluzioni per stabilizzare i modelli metabolici umani, indipendentemente dai vincoli imposti dall’ambiente.
Una semplificata descrizione del flusso di acqua per le esigenze metaboliche delle società vede un sistema organizzato nell’interfaccia tra tecnosfera e biosfera, ed evidenzia sempre più cospicui prelievi verso la tecnosfera. Quando il flusso idrico dalla biosfera (fonte primaria) va verso la tecnosfera, si genera un carrier utile per gli scopi metabolici (irrigazione agricola, uso industriale, uso civile, etc.). Quando il flusso idrico si muove dalla tecnosfera alla biosfera (utilizzo finale) implica il consumo del carrier (evapotraspirazione, etc). Analizzando il metabolismo in questa maniera, si realizza che la tecnosfera non può riciclare l’acqua, vuol dire che non può intervenire direttamente e nel breve termine sui processi biofisici che regolano il ciclo idrologico. La tecnosfera può invece influire nel lungo termine sui processi biofisici attraverso i cambiamenti climatici ed il prelievo. Gli approcci adattativi della tecnosfera si possono quindi riassumere in tre:
-
soluzioni tecnologiche di distribuzione;
-
migliorare l’efficienza dell’uso idrico nei processi produttivi;
-
intervenire sulle abitudini di consumo.
A titolo di esempio analizziamo i consumi idrici nazionali, riportati dall’ISTAT. Consumiamo 27 miliardi di metri cubi di acqua. Il 54,5 per cento è utilizzato dal settore agricolo, 93,7 per cento da pratiche irrigue e per il restante 6,3 per cento dalla zootecnia; segue il settore industriale (20,7 per cento), quello civile (19,5 per cento) e il settore energetico (5,3 per cento). Si osserva che le pratiche irrigue agricole hanno un peso elevato prelevando 14 miliardi di metri cubi, la maggior parte dei quali vanno verso l’atmosfera attraverso i processi di evapotraspirazione delle colture che può ritornare al sistema solo attraverso gli eventi meteorici. La tecnosfera può ridurre questo consumo migliorando le tecniche irrigue, puntando verso prodotti con minori esigenze idriche o, in casi estremi riducendo il consumo di cibo.
Il Millennium Ecosystem Assessment (MEA, 2005) ci dice che a partire dal 1960 la popolazione mondiale è raddoppiata, le attività economiche sono aumentate di 6 volte, la produzione di cibo è cresciuta di 2 volte e mezzo il consumo idrico raddoppiato. Invece le risorse biofisiche restano sempre le stesse.