Nella nostra quotidiana interazione con i servizi digitali c'è un piccolo rituale che svolgiamo con disinvoltura, senza rifletterci: capita infatti di incontrare delle caselle di forma quadrata con accanto il testo "ho letto e accetto i termini e le condizioni del servizio", e capita che sia necessario cliccare in tali caselle per per poter proseguire, e capita puntualmente che quest'azione venga svolta senza che una sola riga di tali condizioni venga letta. Alzi la mano chi si comporta diversamente.
L'esperimento di un'azienda inglese che nel contratto ha messo cose bizzarre
Un'azienda inglese di nome Purple che fornisce accesso wi-fi gratuito ha recentemente inserito nel proprio contratto di servizio una serie di condizioni bizzarre, di cui quasi nessuno si è accorto. Nell'arco di due settimane, 22mila persone hanno infatti accettato senza battere ciglio di svolgere 1.000 ore di servizi per la collettività, tra cui:
- raccogliere escrementi animali dai parchi urbani,
- abbracciare gatti e cani randagi,
- punire manualmente le fognature intasate,
- pulire i bagni chimici a festival ed eventi,
- dipingere i gusci delle conchiglie per illuminare la loro esistenza,
- raschiare le gomme da masticare per le strade.
Per poter verificare quanti utenti abbiano effettivamente letto tali condizioni era presente un'ulteriore casella da cliccare per poter accedere ad un premio: solo un utente su 22mila ha aderito, e quindi verosimilmente solo quell'utente ha aperto le condizioni e le ha lette prima di accedere al servizio di wi-fi gratuito. L'azienda ha fatto sapere che non intenderà avvalersi di questa clausola e che non richiederà agli utenti di rispettare l'impegno.
Una spiritosa trovata di marketing
Ora, a nessuno di noi sfugge che questa sia una spiritosa ed efficace trovata di marketing per far parlare di sé, e se anche noi abbocchiamo all'amo regalando notorietà all'azienda inglese è perché lo spunto offerto dalla vicenda merita qualche riflessione. Non è peraltro la prima volta che un simile esperimento viene svolto, perché già nel 2014nell'ambito di un esperimento guidato da Europol fu introdotta nelle condizioni di un servizio wi-fi una clausola con cui l'utente si impegnava ad assegnare il proprio primogenito all'azienda stessa per l'eternità. Sei persone accettarono. L'azienda fece sapere che avrebbe restituito i figli, e più seriamente precisò che tale clausola era comunque nulla perché per legge non è possibile barattare figli in cambio di servizi.
Può un giudice riconoscere quelle cause?
Anche nel caso di Purple non è chiaro se le clausole in questione, abnormi rispetto all'oggetto del contratto, possano essere riconosciute da un giudice. Forse sì, se l'accettazione ha seguito tutte le accortezze procedurali che garantiscono all'utente la scelta (potenzialmente) consapevole. Resta in ogni caso la preoccupazione per tutte quelle clausole più sottili che potenzialmente infestano tutte le condizioni che accettiamo quotidianamente, e con le quali la controparte solitamente si lava le mani di qualsiasi responsabilità addossandoci oneri di ogni tipo.
Si possono leggere 'termini e condizioni' per 20 minuti?
È facile alzare il dito e ricordare che se firmiamo senza leggere ce ne meritiamo le conseguenze, e che non ce l'ha ordinato il dottore di usare Facebook o un wi-fi pubblico. Tuttavia bisogna riconoscere che qualche problema c'è. Mediamente la lettura delle condizioni di un servizio richiede 15-20 minuti, ovvero un tempo incompatibile con la necessità rapida di fruizione di un servizio digitale. Inoltre c'è chi critica tali modalità contrattuali perché non sono realmente negoziabili, ma sono -di fatto- dei ricatti per usufruire di quelli che sono formalmente servizi privati ma senza i quali veniamo -di fatto- privati della nostra piena cittadinanza digitale e che quindi siamo costretti ad accettare.
Il giornalista del Guardian Alex Hern nel 2015 fece un esperimento: per una settimana lesse tutte le condizioni che si trovava ad accettare. Dovette leggere 146mila parole, per un totale di otto ore. Prendiamone atto, con buona pace del diritto privato e del negozio giuridico: qualche problema c'è.
Perché le aziende non le fanno brevi e leggibili?
Si ripete stancamente che occorre più consapevolezza della necessità di leggere ciò che accettiamo, ma così non andiamo da nessuna parte. Al contrario, dovremmo sensibilizzare le aziende sulla necessità di condizioni brevi e leggibili. Perché non imponiamo un tetto di parole quando un servizio è gratuito? Perché non incentiviamo meccanismi di standardizzazione come già avviene per le licenze copyleft (si pensi alle Creative Commons: non si può fare altrettanto per i termini del servizio?). E perché se entro in un negozio fisico posso concludere una transazione commerciale senza sottoscrivere alcunché, lasciando la regolamentazione alle leggi dello Stato, mentre se lo faccio digitalmente posso subire l'obbligo di accettare delle condizioni private? Perché non nascono delle iniziative per certificare con un bollino blu i servizi le cui condizioni sono sensate e oneste?
Un progetto che corre in aiuto degli utenti
Un aiuto in questo senso lo sta dando il progetto "Terms of Service - Didn't read" che sintetizza le clausole più importanti delle principali piattaforme, ma ha ancora bisogno di crescere. L'obiettivo dichiarato è, senza mezzi termini, quello di fermare la "più grande bugia del web", ovvero la casella "ho letto ed accettato le condizioni del servizio".