“Perché non affittiamo la stanza libera che abbiamo? Potremmo mettere un avviso sul sito del convegno”. Questa frase, pronunciata nell’ottobre del 2007 a San Francisco in una discussione tra Joe Gebbia e Brian Chesky ha fatto nascere Airbnb. Nella capitale delle startup c’era un convegno di designer provenienti da tutto il mondo, gli alberghi tutti occupati, e loro ebbero l’idea di affittare online una loro stanza. Guadagnarono mille dollari in una settimana. 10 anni dopo Airbnb vale 31 miliardi di dollari. La storia è raccontata in un testo diventato oramai un classico della digital economy mondiale, What’s Mine is Yours.
The rise of the collaborative consumption (Il consumo collaborativo. Ovvero quello che è mio è anche tuo). L’editore Franco Angeli lo ha tradotto in italiano per la prima volta. L’autrice, l’inglese Rachel Botsman, oggi è nota in tutto il mondo. Prima vera divulgatrice delle sharing economy, oggi i suoi Ted in cui spiega le potenzialità dell’economia collaborativa sono visualizzati milioni di volte.
“Ogni giorno le persone usano il consumo collaborativo: condivisione in senso tradizionale, baratto, prestito, commercio, af tto, dono e scambio, ma ride niti mediante la tecnologia e le comunità di pari. Il consumo collaborativo sta garantendo alle persone gli enormi bene ci derivanti dal poter accedere a prodotti e servizi anche a prescindere dal possesso, risparmiando soldi, spazio e tempo; dal fare nuovi amici; e dal tornare a essere cittadini attivi” scrive Botsman.
Lei è stata la prima a teorizzare, sei anni fa ormai, che gli oggetti non utilizzati sono un asset. Le stanze vuote, le case sfitte, fino all’auto che adesso condividiamo (non solo Uber o Blablacar, ma anche servizi di affitto breve dell’auto, ce ne sono diversi anche in Italia). Alla fine la sharing economy è questo. Far fruttare cose che hanno un valore per gli altri, ma che noi in quel momento non usiamo. Vale per il piccolo affittuario, come per le grandi aziende (pensate solo ai coworking nati dai palazzoni vuoti delle grandi aziende). Nel 2011 scriveva: “Molte delle società di cui trattiamo in questo libro sono già in attivo e il loro fatturato è in aumento”. Oggi in realtà sono tra i big dell’economia globale. Ma ci sono interi settori ancora non colpiti da questo nuovo modo di concepire gli asset inutilizzati che abbiamo in casa. Tutto partiva di lì, da una stanza in affitto a San Francisco. E l’onda della sharing economy non sembra affatto essersi esaurita.