“Amico lettore, questo avvertimento servirà a farti sapere che espongo al pubblico una piccola macchina di mia invenzione, per il solo mezzo della quale potrai, senza pena alcuna, fare tutte le operazioni dell’aritmetica e sollevarti dal lavoro che ti ha spesso affaticato la mente allorché hai operato per mezzo della penna”
Anno 1645. A scrivere è il filosofo Blaise Pascal in un documento intitolato La macchina aritmetica, passata alla storia come Pascalina, la prima macchina per far di conto. Operazioni di aritmetica semplici, che consentirono all’allora 23enne filosofo francese, di attenuare la noia delle operazioni matematiche fatte a penna che gli imponeva il padre, intendente di finanza a Rouen, Normandia.
Perché ricordare questa lettera oggi?
Negli ultimi mesi il dibattito sull'innovazione si è molto concentrato sui benefici reali che le nuove tecnologie portano alle nostre vite. Le nuove tecnologie continuano a migliorare le nostre vite? Oppure ne stiamo diventando schiavi? Perfino il Financial Times è diventato molto scettico e addirittura il 13 giugno scorso tramite Martin Wolf metteva in dubbio che le tecnologie siano ancora in grado di migliorare la produttività delle persone, uno degli architravi che regge lo sviluppo del mondo moderno.
Pascal e l'intelligenza artificiale
Il passaggio di quella lettera di Pascal per molti storici della filosofia è il primo germe della rivoluzione tecnologica che porterà alla nascita delle tecnologie dell’informazione, del digitale, e dell’intelligenza artificiale. È la spinta iniziale al processo che ha portato l’umanità da considerarsi il punto più alto del creato a fragile strumento minacciato da intelligenze incredibilmente più potenti di noi.
Il motivo per cui si fa tornare a Pascal questo ‘germe’ è semplice. In quella lettera per la prima volta è espresso un concetto piuttosto chiaro, anche se verrà elaborato in seguito fino a ‘subirne’ oggi le conseguenze:
“Se pensare era ragionare, e ragionare voleva dire fare di conto, fare di conto era qualcosa che una macchina poteva fare”.
Tre secoli e mezzo dopo un altro filosofo Luciano Floridi, scriverà: “future generazioni di pascaline erano destinate a sollevarci non solo da operazioni mentali stancanti, ma anche dal nostro ruolo centrale quale unico agente intelligente” (La quarta rivoluzione, Cortina, 2017).
Il germe fu messo paradossalmente, ricorda Floridi, proprio da quel filosofo, Blaise Pascal, che tutti ricordiamo per la meravigliosa immagine dell’ “l'uomo" che "non è che una canna, la più fragile di tutte in natura; ma è una canna pensante”.
L'uomo essere fragile ma eccezionale, messo in discussione nella sua eccezionalità proprio dagli sviluppi di uno strumento nato per aiutare i calcoli di Pascal. "Tutta la nostra dignità sta nel pensiero", scriveva. E se qualcuno, qualcosa, pensa come noi?
L'uomo e la centralità perduta
Oggi è difficile credere ancora a quella centralità. Non solo, le intelligenze artificiali, nipoti della Pascalina, sono arrivate a minacciare il nostro lavoro, gli algoritmi sono arrivati a determinarlo (pensate alla polemica tutta italiana del lavoro dei rider) potrebbero cambiare le nostre vite, indurci a consumare un prodotto in vece che un altro, di più o di meno, cambiare opinione su un fatto, modificarci anche se sono un prodotto dell’ingegno umano.
È da un po’ di tempo oramai nei confronti dell’innovazione e della tecnologia abbiamo assistito ad un netto cambio di atteggiamento. L’entusiasmo che era di molti è diventato scetticismo, l’innovazione col punto esclamativo, quella che era già tra noi, è diventata innovazione col punto interrogativo, come quello assente ma rumorosissimo di WTF - What The Future (2017), l’ultimo libro di uno dei futurologi più ascoltati in Silicon Valley, Tim O’Really.
La Pascalina (intesa come metafora di tutte le tecnologie che ‘sollevano’, aiutano chi le usa nel lavoro) non funziona più? Il nostro rapporto con la tecnologia è compromesso? La risposta di molti è: forse. Ancora una volta un grande punto interrogativo. Che implica questioni etiche (i nostri dati), di tenuta democratica delle istituzioni (Facebook e la propaganda digitale), economiche (il lavoro e la produttività), che riguardano la natura umana e la sua fragilità ritrovata nei confronti di qualcosa che minaccia di essere più grande di lei.
E su tutto questo il dubbio se siamo in grado di gestire il cambiamento che portano le nuove frontiere degli algoritmi e dell'intelligenza artificiale, oppure se siamo destinati a subirla (Wolf, nell'articolo del Ft citato prima crede di no, e che il futuro della produttività dipenda da rivoluzione totale delle intelligenze artificiali).
L'uomo è rimasto la stessa canna fragile, come quella di Pascal, e dopo tre secoli ha scoperto che assai fragile è anche il suo pensiero.
@arcangeloroc