Era proprio di qusti giorni nel 2014 che si teneva la 4° edizione della Societing Summer School a Calvanico, nel cuore del Parco dei Monti Picentini vicino Salerno, nella gloriosa sede del progetto RuralHub che oggi ospita la Residenza Rurale l’Incartata.
Sembra essere passata una eternità, era il momento in cui discorsi sulla social innovation, collaborative e sharing economy, changemakers, startup erano diventati ormai mainstream e ci interrogavamo su cosa volesse dire realmente innovazione. Quali sono i conflitti, le identità, gli scenari che sta generando? L’obiettivo era andare oltre una già sperimentata liturgia da post-it e porre le basi per un confronto sulle fondamenta ontologiche del cambiamento e dell’innovazione sociale coinvolgendo il meglio della scena critica che si occupava in quegli anni di social innovation. Spesso neanche chiamandola così.
Un'alternativa al cinismo del nostro tempo
Ci pareva, e così era, che opportunismo e cinismo fossero le tonalità emotive del nostro tempo. Il rischio che si correva nell’elevare gli strumenti tecnici da mezzo a fine era che il social innovator divenisse un professionista capace di gestire un flusso sempre più ampio di possibilità, riducendo il “sociale” solo a schemi e grafici dimenticando, consapevolmente o inconsapevolmente, la vera essenza dell’innovazione.
Avevamo paura che anni di movimenti, di pratiche, di pensiero, di sperimentazioni finissero per formare una nuova schiera di manager/boyscout al servizio della gentrificazione e delle speculazioni edilizie. Avevamo bisogno di un confronto e ci riunimmo tutti in campagna. Come sempre la Summer School era aperta e parteciparono molti giovani ingamba. Con molti dei quali i nostri percorsi continuano ad incrociarsi.
Seguendo un solco che anni ci metteva su queste strade, cercammo di delineare una ipotesi di Innovazione Sociale Rurale mediterranea, partendo proprio dalle esperienze di quei giovani, con elevate competenze e una cultura globale, che partendo da una esigenza profondamente personale tornavano al mondo dell’agricoltura proponendo un nuovo modello di sviluppo.
In realtà non era uno studio su nessuna categoria. Quei giovani eravamo noi, erano i nostri amici che a causa del nostro vissuto intenso nella dimensione dell’infosfera avevamo modificato la percezione di categorie fondati come Spazio e Tempo azzerando la distanza tra una modernità metropolitana e una ruralità legata ad un eterno passato. Erano scelte di vita individuali basate sulla capacità di tornare ad abitare le dimensioni iperlocali delle aree rurali dell’Appennino Meridionale (o come recitano i navigatori gps “aree interne”) eleggendolo a luogo della costruzione di un modello sostenibile.
Scelte di vita che attraverso una narrazione autentica da/per/su l’infosfera (grazie ad esempio alle piattaforme social) entravano prepotentemente in una nuova sfera pubblica trasformandosi in atto politico perché sottoposte allo sguardo di tutti e rendendo palese la possibilità di fare pratica dell’impossibile, mantenendo così accesa quella dimensione erotica dell’innovazione che ne è il principale motore e che rappresenta l’unico anticorpo per non finire nel tritacarne dell’ultimo grande totalitarismo fatto di normalizzazione dei processi, di sequenzialità del pensiero e di “politica della governance”.
L'ipotesi neorurale contro il paradigma delle SmartCity
L’ipotesi neorurale, ci pareva una bella contrapposizione a quanto avveniva o si voleva far avvenire nelle cosiddette SmartCity: la SmartRurality guardava alle comunità locali come mini-agorà dove poter ancora discutere del bene comune e diventava quindi categoria critica per rileggere il presente.
Filo conduttore che ha attraversato tutta quella Societing Summer School 2014 fu tentativo di immaginare se esistesse e su quali elementi potesse darsi un modello di innovazione in grado di rispondere a esigenze ecosistemiche a sud della social innovation e del service design. Un modello che guardassse al Mediterraneo come metodo, come categoria che potesse ancora una volta sfuggire al fondamentalismo di qualsisi approccio coloniale in un momento in cui sia per l’innovazione sociale che per il complesso mondo dell’economia collaborativa si stava attuando un processo di cristallizzazione di pratiche influenzate dalla filosofia manageriale elevata a pensiero politico.
E’ giusto adottare un approccio anglosassone per il contesto mediterraneo? Oppure è necessario creare e utilizzare un modello mediterraneo di innovazione sociale che incontri e sviluppi le caratteristiche intrinseche di questa area geografica come l’etica della situazione, l’economia relazionale, la valorizzazione dell’informale?
Erano queste le domande che ci ponevamo e su questo solco era germinato tutto il progetto Rural Hub che malgrado le inefficienze del Minsitero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca riusci a compiersi generando molti più dei 4/5 output richiesti proprio perché si era posto come una piattaforma di incontro e gioco per una rete di ricercatori, agricoltori, artisti, attivisti, studiosi, hacker e manager interessati all’individuazione di nuovi possibili forme di futuro (l’idea di “sviluppo economico” ci pareva e ci pare limitata) creando ponti tra mondi interdipendenti tra di loro ma che il totalitarismo del management vuole vedere lontani e separati.
L’idea di fondo era quella di dare uno spazio, fisico e di pensiero, dove poter performare nuove forme di impresa rurale che non guardassero solo ad un exit finanziaria ma che tenessero ben presente l’etimologia proprio di quella parola “Impresa” e di quello che ha rappresentato nella cultura Mediterranea .
E in quella zona temporaneamente autonoma si inseriva quella Summer School, e lì fu generato questo Manifesto della Rural Social Innovation che è al tempo ebbe una rapida diffusione. Un manifesto che si nutriva di tante ispirazioni e che è stato di ispirazione e di sostegno a tutta la new wave del movimento neo-rurale italiano.
Mi fa piacere riproporvene la lettura (e la visione dei contenuti multimediali) perché è denso di belle testimonianze e forse indica ancora qualche via di fuga importante. Oltre me ed il compagno di avventure Adam Ardvisson troverete contributi di (a memoria) Raffaele Mauro, Luigi Corvo e Giampaolo Capisani, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, Eugenio Battaglia, Morris Gasparri, Simone Cicero, Alberto Cossu, Christian Iaione, Roberto Covolo, Dino Amenduni, Andrea Danielli, Jaromil Rojo e Debra Solomon, Stina Heikkilä, Dario Marino, Ivan di Palma, Antonio Torre, Giampiero JahPaz Pinto, Donato de Marco, Giovanni Maria Riccio, Jacopo Mele, Mario Mele, Tony Ponticello, Michele Sica, e tutta la rete di soci, partner, staff e ricercatori aggregatasi intorno al fermento di RuralHub.
Scarica qui il Manifesto.