Perché Zuckerberg difende il lavoro dei giornalisti (e le notizie lette come un mp3)
In un lungo post il fondatore di Facebook difende il lavoro dei giornalisti per il social network. Una difesa che però non è senza interessi. Alla rete servono le notizie e le analisi, e poi c'è Trump

“Dare alle persone una voce non è abbastanza senza avere delle aziende dedicate a trovare nuove notizie e analizzarle”. Forse è questa la frase che più colpisce di quanto ha scritto Mark Zuckerberg sul suo profilo Facebook (mercoledì 23 agosto). Traccia un confine chiaro tra la libertà di parola e la possibilità di considerarsi persone ben informate. E chi offre ai cittadini la possibilità di essere in formati, dice Zuckerberg, è il buon giornalismo.
Probabilmente è uno dei post dove il fondatore di Facebook ha meglio chiarito il suo pensiero sul ruolo del giornalismo nella società, ma soprattutto per la sua azienda. Non è un discorso disinteressato. Scrive: “(Su Facebook) Non possiamo creare una comunità informata senza giornalisti. Se sempre più persone leggono le notizie in luoghi come (Facebook), noi abbiamo la responsabilità di contribuire a fare in modo che tutti abbiano una comprensione adeguata delle cose”.
I test ancora poco chiari che avvierà Zuckerberg
Tutti noi apprezziamo la libertà della rete. I social hanno dato a miliardi di persone la possibilità di essere informate. Di commentare, farsi un’opinione. E spesso queste informazioni le prendono proprio da Facebook, e ultimamente Whatsapp (altro tassello della galassia Zuckerberg) sta diventando uno strumento altrettanto efficace. Per questo la scelta di Zuckerberg di avviare una serie di test (così li ha chiamati nel post) per aiutare le aziende editoriali a monetizzare il loro lavoro, che, ammette, hanno subito un duro colpo ai loro business model messo a segno dalle nuove tecnologie è interessante. Nello specifico lo farà aiutando la sottoscrizione degli abbonamenti. Ma qualcosa in più si saprà a fine dicembre, quando il progetto sarà lanciato.
Il ruolo di qualcuno che per lavoro 'trova e analizza' le notizie
Zuckerberg sa che senza ‘qualcuno che trova, verifica e analizza le notizie’ (i giornalisti) il suo social network perderebbe qualcosa. E’ un po’ lo stesso problema di Google, quando ha cominciato a finanziare i progetti innovativi di aziende editoriali con Google Initiative. Non c’è mai stata nel mondo una domanda di notizie così alta come quella che abbiamo oggi. I social, e più in generale il web, ne hanno aumentato esponenzialmente la domanda. Il problema è riuscire a far pagare quelle notizie. Qualche considerazione.
Zuckerberg sta preparando uno Spotify delle notizie?
Non è chiaro come ci riuscirà Zuckerberg, il suo post è davvero criptico su questo. Personalmente, la dinamica della richiesta di news online ricorda molto quella dell’Mp3. Le notizie ci sono (come c'era la musica in formato digitale), circolano in rete, una tecnologia ha permesso di renderle accessibili a tutti gratuitamente e la loro richiesta aumenta esponenzialmente - un po’ come si diventava voraci di musica in Mp3 riempendo interi hard disk di musica di tutti i tipi alla fine degli anni 90 e nel 2000, musica che spesso non si ascoltava nemmeno, così come degli articoli spesso non si va oltre i titoli. Le case discografiche pensavano di crollare, ma non è andata proprio così. Ma hanno dovuto ripensarsi. E prima o poi si troverà la quadra anche per rendere profittevole il giornalismo online, forse.
Da quelle righe un po’ criptiche di Zuck (nessuno può dire di aver capito bene cosa abbia in mente) mi pare di intravedere la possibilità di uno Spotify integrato delle notizie, senza trattenere fee sui pagamenti. Vedremo. Alla rete, ai social, serve l’informazione. Serve la buona informazione. Fatta da professionisti, dice Zuckerberg. Da persone che tengano a cuore la verità delle notizie riportate. Che sia libera, sì, ma che sia ‘filtrata’ da persone che dedicano il loro tempo e le loro energie a scovarle, a verificarle e pubblicarle.
Il peso di queste parole, Trump e l' Italia
Piccola nota. In Italia, è moda attaccare la stampa. Quando leggiamo che l’Italia sprofonda nella classifica della libertà di stampa (Reporters without borders) non è perché le aziende sono pilotate politicamente, ma perché la “percezione” della libertà di stampa in Italia crolla. Anno su anno (ora siamo 52°). Leggetevi la metodologia della ricerca, vi illuminerà questo aspetto che spesso ignoriamo. Forse prima di seguire supini la vulgata che vuole tutta la stampa italiana complice di un complotto contro il popolo italiano, vale la pena fermarsi un attimo e riflettere.
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