Così i social ci hanno ingabbiati nei nostri pregiudizi. E non abbiamo la chiave
Leggiamo solo ciò che ci piace. Non ci interessa chi la pensa in modo diverso. Non vogliamo conoscere, né sapere. Ma solo conferme a quello che pensiamo

Nelle ultime settimane il dibattito intorno ai temi legati alla diffusione delle notizie, attraverso le piattaforme social sta assumento una rilevanza senza precedenti. E’ percepito come qualcosa di fondato, importante, apocalittico. Su più fronti, soprattutto sull’onda del brexit e dell’elezione di Trump ci si rende conto che il sistema informativo è rotto. La narrazione ufficiale è sempre più debole rispetto a quella alternativa.
Sfiducia profonda che sembra far pendere la bilancia verso un “qualsiasi cosa purché si cambi”, anche verso soluzioni improbabili. Sfiducia, infatti, che sembra far montare la platea di consenso verso provincialismi, nazionalismi e i partiti sovranisti in Europa sono diventati il collettore di un processo segregante.
Il circuito informativo è rotto
Spesso le informazioni false, le interpretazioni strumentali e non, nascono proprio in relazione a problemi complessi e articolati. E l’uso dei barocchismi e degli esoterismi accademici atti a camuffare la confusione e l’inadeguatezza dei paradigmi rende tutto ancora più estremo. Infatti, allo stesso modo, ora si punta l'indice contro i social perché responsabili della diffusione così ampia pervasiva e inarrestabile delle fake news e delle campagne d’odio verso le minoranze.
Il dibattito è ancora allo stato embrionale e tende a mettere tutti questi elementi all'interno di un unico calderone, quello della post factual society. Oggi in un articolo apparso sull'Economist, ho provato a sintetizzare quelli che sono gli esiti di una notevole mole di lavori di ricerca che stiamo portando avanti da quattro anni prima alla Northeastern University, e poi all’IMT di Lucca.
Internet in generale, e i social in particolare, hanno distrutto il sistema di mediazione dell’informazione. Una mole impressionante di informazioni, interpretazioni circola e va ad alimentare convinzioni pregresse. Troviamo quello che più ci aggrada e ci facciamo guidare dai nostri pregiudizi (confirmation bias). Lo facciamo tutti, nessuno escluso. Ognuno seguirà la sua strada, sia chi tende a credere alle bufale, sia chi invece, è più attento alle fonti. Il meccanismo è identico.
Crediamo a ciò che ci piace, non c'è scampo
Le analisi quantitative sui social (fatte su milioni di utenti) mostrano che scegliamo una narrazione e tendiamo a rinforzare quella senza dare nessuna importanza alla fondatezza, l’importante è che ci piaccia. La post-truth. Tendiamo cioè ad accreditare le informazioni non perchè ne riconosciamo il valore intrinseco e l'autorevolezza della fonte, ma perchè queste stesse confermano la nostra tesi, il nostro convincimento, ovvero, il nostro pregiudizio.
E più le cose diventano articolate e complesse più i si palesano i nostri limiti conoscitivi e la tendenza all’approssimazione (dove il pregiudizio di conferma è ancora più potente). Il mondo intellettuale come quello informativo informativo è un calderone di opinioni, posizioni e voci. Un mondo di tribù. Su tutto spicca una tendenza all’annichilamento dell’avversario.
- Echo Chambers on Facebook
- The spreading of misinformation online
- Opinion Dynamics on Interacting Networks: Media Competition and Social Influence
- Science VS Conspiracy: Collective Narratives in Age of Misinformation
- Trend of Narratives in the age of misinformation
- Emotional Dynamics in the Age of Misinformation