Se gli editori delle notizie sul web sono dei robot, parliamone. Anche a scuola
Il 54,5% degli italiani si informa attraverso strumenti governati da algoritmi (social network, motori di ricerca, aggregatori, piattaforme digitali in generale). Lo rivela il rapporto dell'Agcom. Che impone una riflessione. Anche nelle scuole

“Le fake news sono un problema specifico, ma ce ne è un altro più grande e più grave, quello della disinformazione. Stiamo sottovalutando il problema dei bot”, software sofisticatissimi in grado di raccogliere ed elaborare in tempo reale informazioni sulla navigazione e le ricerche dell’utente per restituire risposte e ‘racconti’ sulla navigazione online di ognuno di noi. “Credo che l’enorme incremento dei bot, la diffusione di informazioni errate su scala industriale, sia un problema enorme”.
James Harding, Director of News and Current Affairs, to leave the BBC - https://t.co/oebpMaDLlB pic.twitter.com/FnyMlUcPxK
— BBC Press Office (@bbcpress) October 10, 2017
James Harding è stato fino a qualche giorno fa direttore delle News della BBC, la televisione pubblica inglese, da sempre modello universale di qualità dell’informazione, di innovazione giornalistica al servizio dei cittadini. Harding ha lasciato la guida del broadcaster britannico con questa preoccupazione.
Gli algoritmi dei social network e dei grandi motori di ricerca, Google News primo fra tutti, sono sempre di più decisivi nella distribuzione e dunque nella fruizione delle notizie da parte delle persone. La nostra autonomia nella scelta dei contenuti, scritti o video, si sta riducendo. Quando ‘scrolliamo’ una pagina Facebook o di Google a cui abbiamo affidato una richiesta con parola chiave, le proposte che riceviamo sono ordinate da algoritmi che selezionano, ordinano, impaginano e ci mostrano i risultati secondo dinamiche complesse, che non sempre premiano la qualità, l’accuratezza, la completezza di quel contenuto. Il primo articolo (o video) che ci compare nella ricerca, magari è il più letto, il più condiviso, ma non per forza il migliore, il più indipendente e giornalisticamente valido, il più… vero.
Rapporto Agcom sul consumo di informazione 2018
Un problema enorme, ha ragione Harding, nel momento in cui la nostra ‘dieta mediatica’, quell’insieme di abitudini quotidiane con cui cerchiamo informazioni e le consumiamo, è sempre più condizionata dai device mobili, smartphone e tablet, e si realizza in ambiente digitale, on line e app.
A leggere l’ultimo rapporto sul consumo di informazione degli italiani appena pubblicato dall’Agcom, vengono i brividi: “Il 54,5% degli italiani si informa attraverso strumenti governati da algoritmi (social network, motori di ricerca, aggregatori, in generale le piattaforme digitali), mentre il 39,4% della popolazione si informa utilizzando siti web e applicazioni degli editori (stampa quotidiana e periodica, radio e televisione, e testate native digitali)”. Percentuali che aumentano se il pubblico di riferimento diventa quello dei giovani, nativi digitali ma non solo. Sentite qui:
“Il 19,4% della popolazione indica una fonte algoritmica come la più importante all’interno della propria dieta informativa. Spicca, in particolare, la rilevanza accordata a motori di ricerca e social network, che (dopo i canali televisivi in chiaro nazionali e i quotidiani nazionali cartacei e digitali) rappresentano rispettivamente la terza e la quarta fonte informativa più volte reputata come la più importante per informarsi, considerando la totalità dei mezzi di comunicazione (classici e online)”.
“Nel caso delle fonti algoritmiche, in un contesto caratterizzato dallo “spacchettamento” del prodotto informativo e da una fruizione frammentata dei contenuti (articoli, commenti, video, post, ecc.), le piattaforme digitali fungono da intermediari per l’accesso”.
“Accesso all’informazione online da parte dell’individuo che molto spesso e frutto anche dell’incidentalità e casualità della scoperta delle notizie da parte dello stesso cittadino, che peraltro rischia di non avere piena consapevolezza circa la natura e la provenienza dell’informazione”.
Ancora: “La fruizione dell’informazione guidata da un processo automatizzato differisce decisamente da quella che soggiace al processo editoriale umano: quando si tratta di piattaforme digitali, sono gli algoritmi alla base del loro funzionamento a stabilire automaticamente la 'prioritizzazione' dei contenuti mostrati, sulla base di meccanismi di aggiornamento automatici e criteri predeterminati (tra cui, ad esempio, la prossimità dei contenuti e la valorizzazione dei post degli amici, le reazioni, le condivisioni e i commenti degli utenti), che generalmente non contemplano aspetti quali credibilità, qualità giornalistica, rilevanza in termini di pubblico interesse del contenuto/notizia”.
Rapporto Agcom sul consumo di informazione 2018
Intendiamoci: l’informazione grazie al digitale è aumentata, negli ultimi 15-20 anni, in maniera esponenziale. Si sono moltiplicate le fonti e la concorrenza, anche commerciale, che si è generata ha fatto bene anche ai media tradizionali, giornali stampati e canali televisivi classici: li ha costretti a rinnovarsi, a migliorare, a seguire meglio e di più gli interessi del pubblico che oggi ha più scelta. Ma vale la pena leggerlo tutto, il rapporto dell’Agcom. Perché racconta nel dettaglio quanto il consumo di informazione sia governato da regole di ‘ingaggio’ della nostra attenzione che noi possiamo appena intuire.
I nostri interessi sono sempre più gestiti e indirizzati dai bot dei social e dei motori di ricerca. Sono sempre più ‘loro’ a decidere cosa dobbiamo leggere o vedere. Questo continuo flusso informativo che passa dal telefonino, alla radio, al pc dell’ufficio, alla televisione per ritornare sul palmo della nostra mano in un rilancio senza sosta di contenuti e video determina il nostro sapere quotidiano, la nostra idea degli avvenimenti di cronaca, alla lunga, la nostra coscienza di cittadini. E se le dinamiche di diffusione delle informazioni sono organizzate e gestire da robot, se non altro, è bene saperlo e discuterne. Perché, come noto, dalla qualità e dalla libertà dell’informazione dipende in ultima analisi la tenuta di una democrazia.
Rapporto Agcom sul consumo di informazione 2018
Due considerazioni di fronte a questa fotografia tracciata da Agcom.
1) Gli algoritmi e i bot distributivi non sono di per sé un male, sono strumenti, ma vanno conosciuti e governati, altrimenti davvero arriverà il giorno in cui ‘loro’ governeranno noi più di quanto già non facciano. Il primato dell’intelligenza umana su quella artificiale può non essere una priorità se si tratta di organizzare un magazzino di libri o di vestiti e di assemblare pianali auto con scocche e motori (al netto degli impatti occupazionali ancora tutti da valutare). Ma se si tratta di scegliere, comporre e distribuire notizie (pensiamo solo a quelle politiche o economiche), la priorità c’è eccome e per riaffermarla servirà il coinvolgimento proprio delle piattaforme social e di Google (lodevole il tavolo di confronto voluto da Agcom con i giganti del web, sosteniamolo tutti).

2) Di tutto questo bisogna parlare nelle scuole, prima, dopo e durante aver deciso di consentire l’utilizzo degli smartphone in classe come strumenti didattici. Chi va a scuola è nato e cresciuto con l’informazione su un telefono palmare. Oggi i pericoli di un’esposizione continua a ai raggi di uno smartphone si chiamano radiazioni, dipendenza, cyberbullismo, pornografia. Ma c’è un altro demone, che forse, per dirla con l’ex direttore di BBC News, stiamo sottovalutando: la disinformazione prodotta e diffusa a fini economici o di controllo del consenso. Una notizia falsa o dolosamente incompleta messa ‘in mano’ a potenti algoritmi in grado di far salire quella news nelle classifiche di visualizzazione e consolidarne così il peso è un’arma di disinformazione di massa. Un’arma vera. Parliamone in classe. Facciamo dell’informazione (non solo della storia dell’informazione) una materia nei licei. Se proprio vogliamo reintrodurre il cellulare sopra il banco di scuola (da sotto non è mai uscito), raccontiamo ai nostri figli come funzionano le notizie che ci finiscono dentro. I bot questo non lo fanno.
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