Internet è una rete. Mette in comunicazione persone e cose facendo viaggiare pacchetti di dati che passano di nodo in nodo lungo cammini creati dinamicamente tra la sorgente e la destinazione. Grazie a questo meccanismo basta essere collegati ad un qualsiasi nodo della rete per comunicare con chiunque. Non occorre avere un collegamento diretto verso ogni altro computer.
Poiché ogni informazione può essere trasformata in bit e scambiata via Internet è essenziale che la rete sia neutrale (sulla net neutrality qui qualche info), che offra cioè a tutti lo stesso servizio indipendentemente dalla sorgente, dalla destinazione, dalla natura dei dati e dal loro contenuto. La neutralità è una proprietà innata di Internet, insita in due principi fondanti: la separazione dei compiti (per inoltrare i pacchetti i nodi intermedi non hanno bisogno di guardarne il contenuto) e il best effort (ogni nodo si impegna a gestire tutti i pacchetti allo stesso modo offrendo il miglior servizio possibile compatibilmente con le condizioni di traffico). Il fatto che la neutralità sia innata non significa che non possa venire meno. Se i nodi trattassero in modo diverso i pacchetti secondo criteri arbitrari potrebbero alterare il mercato privilegiando determinati fornitori di servizi e di informazioni, o compromettere il diritto dei singoli all’informazione plurale e alla libertà di espressione. Questo sembra ovvio, ma le cose non sono così semplici perché ci sono legittimi interessi in contrasto con la neutralità. Per questo da anni e in tutto il mondo si dibatte di neutralità e di separazione dei compiti. Ma con le dovute eccezioni possiamo riconoscere una sostanziale separazione di compiti tra gli operatori che ci offrono accesso ad Internet e i fornitori di dati e servizi che operano in rete. Anche quando queste funzioni fanno capo alla stessa azienda, la separazione funzionale è comunque evidente e dal fornitore di accesso pretendiamo che non si impicci di che cosa facciamo in rete.
Ora dimentichiamo la neutralità e immaginiamo invece una rete i cui nodi, anziché eseguire algoritmi best effort, decidano in modo del tutto arbitrario quali pacchetti trasmettere e buttino via tutti gli altri. Per usare una rete di questo tipo non ci basterebbe più essere collegati ad un qualunque suo nodo, perché potremmo aver scelto un nodo al quale i nostri pacchetti non piacciono (e così ci sarebbe impossibile comunicare) o a cui non piacciono i pacchetti che gli altri ci mandano (e così ci sarebbe impossibile ricevere informazioni). Potremmo scegliere di collegarci a nodi amici nella speranza che a qualcuno di questi i nostri pacchetti piacciano, ma non basterebbe il favore dei nodi a cui siamo direttamente collegati, bisognerebbe che i nostri pacchetti piacessero anche a tutti gli altri nodi che ci separano dagli interlocutori con i quali vogliamo comunicare. E questo nessuno ce lo potrebbe garantire.
Abbandoneremmo la cara vecchia Internet per questa nuova rete selettiva? Sulla carta forse diremmo di no, ma in realtà lo abbiamo già fatto. La rete paradossale che ho appena descritto è un qualunque online social network, come Facebook, Instagram, o Twitter. E’ vero, sotto ad ognuna di queste reti sociali c’è ancora Internet, ma di per sé non è una garanzia se ci limitiamo ad usarla attraverso un social network. In gergo si parla di overlay, cioè di una nuova struttura che, pur appoggiandosi all’infrastruttura sottostante, la maschera completamente e fa valere le proprie regole come se si trattasse di una nuova rete fisica. I nodi di questa nuova rete sono profili animati da persone e i collegamenti sono i rapporti di amicizia e le condizioni di condivisione che li legano.
Quando apriamo un social network vediamo le informazioni che i nostri amici hanno deciso di rilanciare, scegliendo in modo arbitrario tra quelle che gli amici dei nostri amici avevano deciso di rilanciare, scegliendo in modo arbitrario tra quelle che gli amici degli amici dei nostri amici avevano a loro volta scelto e così via.
D’altra parte, quando pubblichiamo qualcosa lo affidiamo al giudizio dei nostri amici affinché decidano se rilanciarlo per affidarlo al giudizio dei loro amici che lo affideranno al giudizio degli amici degli amici per decidere se meriti o no di essere diffuso.
Sappiamo tutti che sotto c’è sempre Internet che non nega a nessuno il diritto di fare una bella ricerca su Google o di consultare un buon sito web per avere accesso diretto ad informazioni plurali, ma tra le informazioni da cui veniamo bombardati e quelle che dobbiamo cercare, siamo sicuri che la lotta sia ad armi pari? E se fossimo noi a voler pubblicare qualcosa, saremmo in grado di competere con le informazioni diffuse sui social network pubblicando una pagina web e attendendo che qualcuno venisse a cercarla?
Sarebbe come dire che non importa che Internet sia neutrale perché tanto c’è sempre la TV, o che non importa che la TV sia plurale, perché tanto c’è sempre la radio, o che non importa che la radio sia plurale perché ci sono i giornali, e che non importa che i giornali siano plurali perché possiamo sempre diventare giornalisti investigativi e scoprire da soli la verità. In realtà la facilità di accesso all’informazione fa la differenza e la pluralità e la neutralità dovrebbero essere tanto più garantite quanto più usabile e usato è il mezzo di comunicazione. Quindi risalendo la spirale di paradossi torniamo ai social network e diciamo che sì, sarebbe davvero importante che fossero plurali e neutrali, ma è impossibile, perché sono umani.
Allora non resta che affidarci al buon senso, alla democrazia, alla libertà di scegliere i nostri amici, ma purtroppo anche questo non basta. Se lo scambio di informazioni è affidato alla dinamica di un gruppo emergerà sempre un’opinione dominante che finirà per essere amplificata dal consenso del gruppo e mascherare ogni altro punto di vista, limitando le nostre capacità di giudizio autonomo. Sarebbe come se leggendo il giornale le notizie che non piacciono a noi e ai nostri amici finissero sempre più in fondo e diventassero sempre più piccole fino a sparire, senza che fossimo noi a scartarle consapevolmente. Ben presto ne dimenticheremmo l’esistenza.
Ma qui siamo ancora in un terreno tutto sommato plurale. Possiamo sempre dire che la logica del branco ci sta bene e che la nostra capacità di giudizio l’abbiamo esercitata nel momento in cui abbiamo creato la rete attorno a noi e ora possiamo lasciarci cullare dal consenso del gruppo di cui condividiamo in buona sostanza i valori. Ci sarebbero molti argomenti per dire che neppure questo è sano, ma questa strana rete fatta di persone distilla i messaggi non solo in base al gradimento soggettivo, ma anche e soprattutto in base alla loro semplicità. Ed è così che si propagano molto più facilmente slogan, possibilmente scritti a caratteri cubitali su un’immagine ad effetto, piuttosto che argomentazioni e approfondimenti. Questo rende le reti sociali intrinsecamente molto più adatte a propagare fake news piuttosto che informazioni attendibili e argomentazioni scientifiche. Non si tratta di un giudizio etico o di merito, ma di un dato di fatto. Una bufala può essere resa arbitrariamente adatta alla rete, semplificandola fino a farne uno slogan efficace, proprio perché rifugge da ogni tentativo di approfondimento. Per contro, una notizia fondata o un risultato scientifico per essere correttamente veicolati hanno bisogno di essere argomentati, inquadrati in un contesto e ricondotti alle fonti. Questo li rende molto meno adatti ad essere propagati in rete. Quindi, per quanto selezionati e mentalmente aperti siano i nostri contatti, è comunque molto più probabile che ci veicolino fake news piuttosto che notizie attendibili e informazioni scientifiche rigorose.
Attenzione, questo non vuol dire che in rete non si trovino ottime informazioni giornalistiche e scientifiche, ma occorre cercarle, mentre le bufale ci arrivano da sole.
L’effetto di queste caratteristiche strutturali delle reti sociali è aggravato da una crescente diffidenza nei confronti degli organi di stampa e delle competenze altrui. Tanto più una persona è qualificata e competente tanto più il suo giudizio si presta ad essere liquidato come “di parte” e “di sistema”, secondo il presupposto che la maggiore competenza renda più abili o motivati all’inganno. Questo è paradossale e pericoloso, poiché la specializzazione e la suddivisione dei compiti sono i presupposti su cui si basano la nostra società e la nostra capacità di evoluzione. Gli stessi presupposti su cui si basa il sistema di istruzione che offre a tutti solide basi consentendo poi a ciascuno di intraprendere la propria strada specializzandosi e acquisendo professionalità ed esperienza in ambiti specifici per mettere le proprie competenze al servizio degli altri.
Per concludere.
- Internet è molto di più ricca e neutrale della home page di un social network. Un motore di ricerca aiuta a guardare al di là di ciò che riceviamo per inerzia.
- Abbiamo tutti competenze diverse da mettere a disposizione gli uni degli altri. Se possibile usiamo la rete per cercare pareri di chi è più competente di noi sulle questioni che ci interessano. E’ difficile che gli esperti possano ingannarci più della nostra ignoranza.
- Le bufale privilegiano il copia e incolla, inducendo ciascuno a fare proprie le affermazioni lapidarie che intendono propagare. Le informazioni attendibili, al contrario, devono la loro attendibilità proprio all’autorevolezza della fonte che è garante del metodo con cui sono state raccolte ed elaborate. Pertanto è essenziale che vengano rilanciate e non copiate e incollate, perché perderebbero sostanza.
- La divulgazione culturale e scientifica è fondamentale per rendere fruibili informazioni attendibili, cercando il miglior compromesso tra semplificazione e rigore metodologico. Se troviamo in rete valide risorse divulgative, contribuiamo ad aprire loro la strada anche attraverso i social network.