Passare dalle parole ai fatti sarà il passaggio fondamentale per capire l’importanza che ha la stretta di mano tra mano tra Trump e Kim: l’inizio di un processo concreto di denuclearizzazione o una promessa che non si realizza? E le preoccupazioni non stanno solo dal lato coreano: appena una decina di mesi fa Trump minacciava di usare “fire and fury” contro la Corea del Nord se la sua guida non avesse moderato le proprie ambizioni e le minacce militari.
Quello di Sentosa è solo l’ultimo anello di una relazione, quella tra Corea del Nord e le armi nucleari, che è cominciata nell’immediato Secondo dopoguerra. Come scrivono gli analisti del Nuclear Threat Initiative (NTI), una organizzazione non governativa americana che fa capo tra gli altri al fondatore di CNN Ted Turner, già negli anni Cinquanta la Corea del Nord ha iniziato un programma di armamento nucleare. È solo negli anni Novanta, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che la potenziale minaccia nucleare acquista un peso internazionale e mediatico.
25 anni di negoziati e provocazioni missilistiche
Il primo momento decisivo è il 1992 quando l’Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) scopre che le attività nucleari nordcoreane sono più estese di quanto dichiarato ufficialmente. La prima crisi nucleare nordcoreana porta all’uscita dall’IAEA dello stato asiatico. Nel 1999 la stessa Agenzia stima in 3 - 4 anni il tempo necessario solamente per valutare, attraverso ispezioni e analisi, l’effettiva estensione del programma nucleare nordcoreano.
Gli anni 90
In questa prima fase, tra il 1990 e il 1993, secondo l’analisi del Center for Strategic & International Studies (CSIS), uno dei think tank più autorevoli sulla geopolitica mondiale, tra Kim Il-sung e George Bush avvengono 7 incontri diplomatici, controbilanciati da altrettante provocazioni sotto forma di test missilistici e di infiltrazioni (scoperte) di spie nordcoreane nella Corea del Sud. È un nulla di fatto, ma si tratta del primo contatto diplomatico tra i due paesi.
I tentativi di accordo in questo periodo si focalizzano soprattutto su di un rigido controllo degli usi civili e limitazioni agli usi militare dell’energia nucleare. Secondo quanto riporta il CSIS, il programma nucleare nordcoreano infatti consiste sia nello sviluppo di armi, la produzione di materiale fissile (sia a base di uranio arricchito, sia di plutonio) e la costruzione di siti per i test nucleari; sia nella ricerca portata avanti per scopi civili.
Sotto Bill Clinton si registrano 19 negoziati con Kim Il-sung, concentrati nel periodo 1993-1994, all’apice della prima crisi nucleare. A questi seguono altri 109 incontri nel periodo successivo, tra il luglio del 1994 e il 2001, con il comando nordcoreano passato nelle mani di Kim Jong-il. Il risultato principale avrebbe dovuto essere il consolidamento dell’accordo di riferimento del 1994, attraverso - tra l’altro - della formazione della KEDO, ovvero la Korean Peninsula Energy Development Organization che avrebbe dovuto portare sotto la supervisione internazionale anche i reattori civili. In questo periodo si sviluppano anche tentativi di tavoli multilaterali che comprendano USA, le due Coree e anche la Cina, ma senza arrivare a nulla di concreto.
Gli anni 2000
A Bill Clinton succede George W. Bush, che continua la serie di incontri bilaterali (saranno 64 in tutto) con Kim Jong-il. In questa fase la KEDO muore definitivamente. Il risultato più importante è il Six-Party Joint Statement Agreement del 2005, a cui partecipano oltre alle due Coree, agli Stati Uniti, la Cina, anche Russia e Giappone. Secondo questo accordo la Nord Corea avrebbe dovuto abbandonare lo sviluppo di armi nucleare e sottoporre qualsiasi programma già in essere, anche civile, alle verifiche degli ispettori internazionali. Da questo momento fino al 2009, però, la Corea del Nord fa registrare 27 provocazioni con il lancio di missili test che hanno più volte portato a uno stop delle negoziazioni e dell’implementazione degli accordi. Gli accordi collassano definitivamente nel 2008, in seguito alle conseguenze del primo test nucleare coreano del 2006.
Obama e Kim
Sempre secondo l’analisi del CSIS, l’amministrazione Obama incontra solamente 3 volte Kim Jong-il, segnalando un raffreddamento dei rapporti tra i due paesi. In questo primo periodo, il rapporto tra negoziati e provocazioni coreane, rimasto vicino a 1:1 nei 15 anni predecenti, si impenna con quasi 6 provocazioni per ogni contatto diplomatico. Questo rapporto esplode con l’arrivo al potere di Kim Jong-un: a fronte di soli due contatti diplomatici tra il dicembre 2011 e il gennaio 2017, si registrano 63 tra test missilistici e test nucleari (come le esplosioni sotterranee).
Sotto Trump
Anche con l’amministrazione Trump i rapporti non sembrano dei migliori, almeno inizialmente. Solo tra febbraio 2017 e lo scorso settembre si contano 24 test missilistici e un test nucleare. A cambiare profondamente, però, è la gittata dei missili nordcoreani. Negli anni più recenti si è passati dagli Hwasong-12, con un raggio di azione di 4500 km e quindi capaci di raggiungere l’Alaska, ai più recenti Hwasong-13 e Hwasong-14, con una gittata, rispettivamente, di 8000 e oltre 10000 km. Il che significa la capacità di raggiungere, teoricamente, gli Stati Uniti continentali dalla California al Midwest.
Ci sarà ora tempo di valutare i dettagli dell’accordo firmato a Sentosa. Secondo le dichiarazioni di Trump stesso, l’idea è di un disarmo completo e irreversibile (complete and irreversible dismantlement, CID). Il che si dovrebbe tradurre non solo nell’eliminazione dell’arsenale noto, ma anche in quello dell’arsenale e dei programmi di ricerca che invece sono tenuti segreti dalla Corea del Nord. Per renderlo possibile Kim Jong-un dovrebbe garantire accesso ad analisti indipendenti che verifichino lo stato delle cose e che possano accertarsi che l’armamento nucleare non sia possibile nemmeno in futuro.
Che tempi aspettarci?
Non saranno brevi. Perché innanzitutto bisognerà mettere a punto i dettagli dell’accordo di Sentosa. Si possono però fare delle considerazioni sulla base di quello che è già successo in passato. Gli esempi sono quelli che riguardano le due grandi potenze nucleari mondiali, USA e Russia, che dagli anni Novanta hanno portato avanti un programma dettagliato di smantellamento degli arsenali, e quelli delle uniche nazioni che avevano un arsenale nucleare e lo hanno completamente abbandonato: Ucraina, Kazakistan e Bielorussia, quando sono diventate indipendenti dall’ex URSS, e - soprattutto - il Sudafrica.
Intanto è da precisare che nel caso dell’accordo di Sentosa e di altri accordi simili, non si sta parlando solamente dello smantellamento delle testate, ma anche delle strutture per la loro produzione. In ogni caso, ecco la fotografia dell’arsenale nucleare mondiale.
I dati sono raccolti e diffusi dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), uno dei più autorevoli think tank riguardo al nucleare militare del mondo, ma in alcuni casi sono solamente stime. I paesi occidentali rendono noto la situazione del proprio arsenale, mentre la Russia, per esempio, comunica i dati solamente agli Stati Uniti in virtù dei loro accordi bilaterali, ma non li rende pubblici. India e Pakistan non fanno nemmeno parte del Non-Proliferation Agreement siglato tra le principali potenze nucleari del mondo, mentre - sottolinea SIPRI - Israele ha sempre portato avanti una politica di opacità.
A fronte di questi numeri attuali, l’andamento della riduzione può essere stimato da una secondo fonte, il Nuclear Notebook compilato e pubblicato dal Bulletin of the Atomic Scientist, un’organizzazione formata da scienziati contrari all’uso delle armi nucleari. Ecco l’andamento degli arsenali americano e russo:
La Russia è passata in 17 anni da quasi 33 mila testate alle attuali circa 5 mila, lo stesso hanno fatto gli Stati Uniti partendo però da circa 21 mila. Circa 17 anni per ridurre di quasi 5 quinti per la Russia e di un 3 quarti per gli Stati Uniti il proprio arsenale, ma senza intaccare la propria capacità produttiva. Sulla base di stime degli arsenali attuali che nel caso dello Nuclear Notebook, va notato, sono più conservatrici rispetto a quelle di SIPRI, ma che comunque danno un’idea del tempo necessario solamente per smantellare le testate.
Che tempi dunque per smaltire le 10-20 che si stima siano in possesso della Corea del Nord, che però dovrebbe anche fermare convertire gli impianti di produzione?
L’esempio più simile è forse quello del Sudafrica. Nel 1993 il presidente F.W. de Klerk annuncia che il proprio paese ha sviluppato un programma nucleare fin dal 1974 come risposta alla presenza minacciosa nell’area da parte dell’URSS. Nel maggio dello stesso anno il Parlamento sudafricano approva una legge, il Non-Proliferation of Weapons of Mass Destruction Act, che porta in cinque anni il Sudafrica a privarsi totalmente del proprio arsenale e degli impianti di produzione. Non solo, il Sudafrica diventa anche il capofila dell’African Nuclear-Weapon-Free-Zone Treaty, che nel 1999 viene ratificato da 42 paesi.
Secondo gli esperti del CSIS, però, i tempi di un disarmo nucleare completo della Corea del Nord sarebbero più lunghi, stimati in 15 anni, un periodo confermato anche da esperti cinesi. Il punto fondamentale è la grandezza dell’arsenale nordcoreano rispetto a quello sudafricano. Un possibile allungamento dei tempi potrebbe derivare dall’estensione di programmi attualmente non dichiarati che le ispezioni potrebbero individuare. Solo a questo punto, quindi, la Corea del Nord potrebbe essere dichiarata definitivamente un paese non dotato di armi nucleari secondo gli standard del Trattato di Non Proliferazione della Armi Nucleari. La strada che pare essersi aperta a Sentosa con la stretta di mano tra Kim e Trump, quindi, è ancora piuttosto lunga.