«Leggiamo per sapere che non siamo soli» diceva Anthony Hopkins nei panni dello scrittore C. S. Lewis in “Viaggio in Inghilterra”. Lo ha ribadito anche Elizabeth Strout, Premio Pulitzer 2009, ospite a Pordenonelegge con “Tutto è possibile”, fresco di stampa per i tipi di Einaudi: «Abbiamo bisogno di sapere che non siamo soli e abbiamo bisogno di capire nel miglior modo possibile quello che qualcun altro sta provando. Identificandoci nei personaggi letterari riusciamo a capire meglio noi stessi e gli altri».
Sarà per questo, mi sono detta riflettendo a qualche giorno di distanza dalla conclusione della Festa del Libro con gli Autori, di cui venerdì 29 settembre durante l’incontro conclusivo sono stati forniti i dati, che un’iniziativa di questo tipo, giunta alla XVIII edizione e divenuta ormai maggiorenne, continua a riscuotere tanto successo, nonostante le avverse condizioni meteo e nonostante nel frattempo di rassegne simili ne siano sorte molte altre. Non bastano 5 giornate e 313 eventi a giustificarne la riuscita, e neanche le 40 anteprime letterarie.
Non è sufficiente dire che per ogni euro investito nel festival ne ricadono altri 7 o più sul territorio (l’85% tra i negozianti e i ristoratori intervistati ha registrato un aumento delle vendite con punte del 28%), a dimostrazione che non è vero che con la cultura non si mangia. E non basta neanche la capacità ormai rodata della manifestazione di attrarre investimenti (1800 persone hanno partecipato al crowdfunding e il 50% del fundraising è arrivato dal settore privato) per comprendere il sold out ad ogni incontro, la gente ordinatamente in fila come per il pane, l’attenzione per tematiche non propriamente leggere. Neanche i dati sugli accessi a www.pordenonelegge.it (48.092 sessioni con un incremento del 102,74% rispetto al 2016) e il boom sui social (la pagina Facebook ha raggiunto quota 22.905 like, con una crescita di circa 1000 like in cinque giorni e una copertura di circa 135 mila persone; su Twitter l'hashtag #pnlegge2017 è entrato 2 volte tra i trending topic; il profilo Instagram ha ottenuto 350.000 visualizzazioni dei contenuti con una copertura di quasi 7000 persone e un incremento di 328 follower) riescono a spiegare il grande successo.
Il segreto sta tutto nell’incontro privilegiato tra autori e pubblico: nella capacità degli scrittori di comunicare che quelle pagine stampate sono piene di vita. E possono aiutarti a capire meglio la vita. Nella capacità della letteratura, in mezzo a tanta solitudine e a tante esistenze atomizzate, di farti sentire meno solo e di farti diventare più solidale, come sembra dirci Elizabeth Strout attraverso Lucy Barton e Olive Kitteridge. Ma anche di darti nuove prospettive, come quelle offerte da Andrea Segrè alla generazione dei Millennials, o di essere uno strumento per inaugurare un dialogo, come quello tra uomini e donne auspicato da Lorella Zanardo e Francesco Stoppa. Il segreto sta nella capacità di suscitare domande, anche le più serie e al tempo stesso imbarazzanti come quelle poste da Giovanni Ziccardi, che si è chiesto e ha chiesto se si può davvero morire sui social. Nella capacità di raccontare storie individuali, che poi la sociologia può insegnarti a leggere in chiave generale, come spiegano Bauman e Mazzeo nella loro ultima conversazione. Nell’aiutarti a comprendere che la filosofia non è aria fritta ma serve alla vita, come fa Armando Massarenti. Nel farti giocare con le parole, cosa che riesce benissimo a Stefano Bartezzaghi. Nella capacità di illuminare ciò che anni di cattiva memoria e consapevole omertà hanno infilato nell’oblio, come fanno Loredana Lipperini e Caterina Soffici. Nello spiegare ai più giovani perché si dice trentatré, obiettivo al centro del libro di Federico Taddia e Andrea Grignolio. Ma soprattutto — come ha detto Elizabeth Strout — la letteratura serve a sviluppare il muscolo dell’empatia e a creare comunità. E non c’è nulla di cui oggi abbiamo più bisogno. Nulla, davvero nulla, più necessario di questo perché la parola futuro abbia un senso.