È la fine della dinastia Gandhi?

L’uscita dalla scena politica di Rahul segna forse la fine di un’epoca, quella che per tanti anni ha visto ai massimi vertici del partito del Congresso, quello che ha visto anche il Mahatma Gandhi al suo vertice, esponenti della famiglia Nehru-Gandhi

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Rahul Gandhi, il figlio di Sonia Gandhi, leader del  National Congress Party, si è dimesso da Presidente del Partito dopo la clamorosa sconfitta subita alle recenti elezioni che hanno visto nuovamente trionfare il premier uscente Narendra Modi con il suo BJP.

L’uscita dalla scena politica di Rahul segna forse la fine di un’epoca, quella che per tanti anni ha visto ai massimi vertici del partito del Congresso, quello che ha visto anche il Mahatma Gandhi al suo vertice, esponenti della famiglia Nehru-Gandhi.

A Cominciare da Motilal Nehru, per due volte (ogni volta un anno, come era la regola del partito) presidente del Congresso a suo figlio Jawaarlal Nehru, primo premier indiano e primo a cambiare la regola dell’anno di mandato, presiedendo il partito 6 volte per sette anni totali.

Da questi, dopo qualche anno, la presidenza è arrivata a sua figlia Indira, presidente tre volte per otto anni totali, passando poi la guida a suo figlio Rajiv, presidente una volta per sette anni, per finire a Sonia, la vedova italiana di Rajiv, presidente una volta per 19 anni.

Il regno del figlio di questa, Rahul, è durato solo due anni e dovrebbe ora mettere fine alla dinastia alla guida del Congresso, anche perché sua sorella, Pryanka, che pure ha incarichi di partito, sembra oramai fuori dai giochi perché, come responsabile del partito in Uttar Pradesh, non solo non ha inciso ma addirittura qui la dinastia ha perso il suo seggio storico.

Le voci del suo abbandono ormai erano insistenti da alcune settimane, dopo che il BJP (Bharatiya Janata Party) aveva stravinto le elezioni conquistando 303 seggi su 543. Al partito di Rahul le urne invece di seggi ne hanno attribuito davvero pochi, solo 52. Un bilancio negativo troppo pesante da sopportare.

Con un messaggio di addio apparso sui principali social, il rampollo della dinastia Nehru-Gandhi si è assunto la responsabilità della sconfitta affermando tra l’altro che “assumersi le proprie responsabilità è importante per la crescita futura del nostro partito”. Ed intanto è scattata subito la caccia al nome del suo successore.

Rahul non si è pronunciato su potenziali nomi, affermando di voler lasciare al partito la scelta, sicuro che chi di dovere “saprà prendere la decisione migliore”. E mentre si rincorrono i nomi più svariati, dal leader dei Dalit, Sushil Kumar, a facce della politica già piuttosto note come l’ex diplomatico Shashi Tharoor, Ashok Gehlot e Anand Sharma per arrivare a giovani come Sachin Pilot  e Jyotiraditya Scindia, il Partito ha fatto sapere che Rahul, nonostante le già annunciate dimissioni resterà in carica fino a quando non saranno accettate e fino a quando non verrà nominato il suo successore in base alle procedure previste, respingendo quindi le notizie che si erano diffuse nelle ultime ore secondo cui Motilal Vora, il più anziano segretario dell’AICC (All India Congress Committee) avrebbe preso con effetto immediato il suo posto ad interim.

Rahul, che come sottolineano alcuni analisti non è mai riuscito a conquistare del tutto il cuore del popolo indiano, forse perché anche sprovvisto del carisma che aveva invece contraddistinto soprattutto sua nonna Indira e, parecchi anni dopo, sua madre Sonia, è apparso sereno ma deciso.

Nel suo messaggio ha sottolineato di non provare odio o rabbia per il partito vincitore, il BJP: “il punto è che però ogni cellula del mio corpo rifiuta la loro idea di India. Questa resistenza nasce dal fatto che il mio essere è permeato su un’idea di India che è sempre stata in diretto conflitto con la loro”.

Ora è volato con sua madre e sua sorella negli Stati Uniti, per cui nessuno della famiglia parteciperà ai lavori del Congress Working Committee, l’organismo del partito deputato ad eleggere il nuovo capo. In verità, o stesso organo non ha ancora accettato le dimissioni del rampollo dei Gandhi-Nehru, anche se è improbabile che non lo faccia.

Più probabile che, quando si incontrerà la settimana prossima, nel più puro spirito indiano, nominerà un commissione che dovrà decidere sul nuovo capo del partito. E stavolta, i Gandhi-Nehru staranno a guardare. Ma fino a quando?

Già in passato, infatti, è successo che abbiano assistito da lontano, incidendo solo con il carisma, sulle scelte del partito. E’ probabile che Rahul resterà alla finestra, qualche analista dice a osservare e imparare, per poi rientrare. Dalla sua ha un cognome e un lignaggio che in India pesano non poco  l’età, 49 anni, che nell’india dei politici ottuagenari, è un punto a favore. E, in gioco, potebbe rientrare anche sua sorella Pryanka che tutti dicono essere la copia, almeno fisica (ma le viene riconosciuta una tempra più forte del fratello) di sua nonna Indira.



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