Governo del cambiamento? Vedremo come contrasterà mafia e malaffare

Al di là delle parole contenute nel contratto di governo, c’è grande attesa per comprendere cosa farà il prossimo esecutivo in tema di lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese

governo lega m5s contrasto criminalita mafia

“Bisogna potenziare gli strumenti normativi e amministrativi volti al contrasto della criminalità organizzata, con particolare riferimento alle condotte caratterizzate dallo scambio politico mafioso. È necessario inoltre implementare gli strumenti di aggressione ai patrimoni di provenienza illecita, attraverso una seria politica di sequestro e confisca dei beni e di gestione dei medesimi, finalizzata alla salvaguardia e alla tutela delle aziende e dei lavoratori prima dell’assegnazione nel periodo di amministrazione giudiziaria”.

È questo il testo, di poche righe, che fa capo al titolo “contrasto alle mafie” nel contratto di Governo fra Movimento 5 Stelle e Lega.

Al di là delle parole, c’è grande attesa per comprendere cosa farà il prossimo Governo in tema di contrasto alla criminalità organizzata nel nostro Paese.

Nel corso dell’ultima campagna elettorale, infatti, il tema della lotta alle mafie è quasi sparito dall’agenda delle forze politiche, non diventando affatto il “tema centrale” che, magistrati particolarmente impegnati ed esposti, come il magistrato della Procura Nazionale Antimafia, Nino Di Matteo, hanno più volte chiesto.

Peraltro, proprio in questi giorni, il Procuratore Federico Cafiero De Raho ha lamentato la disattenzione generalizzata della politica rispetto alle mafie, sostenuta dal (presunto) problema di sicurezza legato agli sbarchi – smascherato dalle statistiche ufficiali - hanno spesso fuorviato l’opinione pubblica.

Il tema mafie, nei fatti, è sparito dalle emergenze, per tornare nell’agenda delle dichiarazioni politiche solo in occasioni di commemorazioni come quelle avvenute pochi giorni fa, in occasione del 26simo anniversario della strage di Capaci.

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 Agi
 Palermo, manifestazione di commemorazione della strage di Capaci, 23 maggio 2018

In pochi, se non gli addetti ai lavori e fra questi in primis don Luigi Ciotti, hanno sottolineato come oggi le mafie 2.0, prima di uccidere – tecnica sempre in auge, ma quando proprio non se ne può fare a meno – utilizzino l’arma della corruzione. Insomma, oggi mafia e corruzione spesso rappresentano due facce della stessa medaglia ed è proprio tramite questo metodo che le organizzazioni mafiose si infiltrano nel mondo delle Istituzioni (soprattutto locali), nell’economia e nell’imprenditoria.

È per questa ragione che, mettendo da parte la vecchia questione  fra giustizialisti e garantisti, si dovrebbe mirare ad una finalmente accresciuta certezza della pena, allungando (sul tema giungono segnali positivi) senza però renderla eterna, la prescrizione. Così come un segnale chiaro deve arrivare non parlando più di condoni, ed a maggior ragione di provvedimenti come amnistia ed indulto che regalano, non soltanto ai cittadini del nostro Paese, la sensazione che chi sbaglia alla fine possa cavarsela.

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  Palermo, manifestazione di commemorazione della strage di Capaci, 23 maggio 2018

Altro tema scottante è quello relativo alle intercettazioni. Oggi è sempre più chiaro che le mafie si sono adeguate ai tempi, rendendo quelle telefoniche pressoché inutili. C’è necessità, invece, di non restringere il campo di quelle ambientali (o mirate ai nuovi mezzi di comunicazione). In proposito non ha senso  che lo Stato venda le licenze e poi paghi fior di quattrini alle compagnie telefoniche.
Che significato ha pagare, a coloro a cui vendiamo le concessioni, milioni di euro per permettere alla Magistratura ed agli organi inquirenti di realizzare le intercettazioni? È il classico paradosso all’italiana.

Interessante, quantomeno a parole, l’impegno sull’approfondimento relativo al tema del “voto di scambio politico mafioso” e su quello del cosiddetto “41-bis” (ovvero il carcere duro per i boss). In questo senso, da tempo, si è avviato un mascherato tentativo di alleggerirlo, con riferimento anche alle indagini condotte dalla precedente commissione bicamerale Antimafia. Dal “41-bis”, molto spesso, i capimafia continuano ad esercitare il proprio potere, riuscendo a dare ordini dall’esterno, in quanto il regime non è allineato fra i diversi penitenziari che ospitano detenuti al 41 bis.

Preoccupa, invece, la questione relativa alla “legittima difesa” che non può trasformare il nostro Paese in un  far west dove la gente si fa giustizia da sola, manifestato anche nel ricorrente utilizzo del termine “sicurezza” che fa pensare più ad una perenne campagna elettorale, piuttosto che ad una vera ed autentica possibilità di operare per le Forze dell’Ordine.

Infine, è completamente assente il tema delle cosiddette “querele temerarie”, più volte posto dalla Federazione Nazionale della Stampa e dall’Ordine dei Giornalisti. Se si punta, così come si dice, ad una informazione imparziale che sia “cane da guardia della democrazia”, non si può non mettere mano alla questione che imbavaglia, con denunce pretestuose, gli operatori dell’informazione, con la previsione addirittura in certi casi (unico caso in Europa) del carcere.



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