Poco prima di Ferragosto nel Regno Unito ha destato scalpore una classifica. Quella della banda ultralarga. La velocità di connessione ad Internet. Per i britannici, abituati a stare in cima al mondo, quel 31esimo posto è uno scorno. Non è solo un fatto simbolico. Internet è un abilitatore di futuro. Senza una connessione adeguata non si possono cogliere le infinite opportunità di formazione e informazione che la rete offre, i servizi che la pubblica amministrazione e le banche stanno spostando online, e neanche le possibilità di fare impresa a partire da un sito Internet o a volte solo da una pagina Facebook. Parliamo di connessione adeguata e quindi i 2 megabit al secondo della banda larga, senza ultra, non servono a nulla per chi naviga oggi, i siti attuali neanche si caricano a quella velocità. I 30 megabit al secondo sono il minimo, i 100 sono l’obiettivo europeo, ma in molti paesi il traguardo è un gigabit al secondo.
Insomma, la banda ultralarga è un tema serio e importante. Sul quale il nostro ritardo è arcinoto e ha molti padri. Eppure, come ci ha ricordato qualche giorno fa il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli, “nessun governo ha investito tanto come il governo Renzi”. Eppure, come ci ha ribadito il leader del MoVimento 5 stelle Luigi Di Maio a cavallo di Ferragosto sul blog di Beppe Grillo, “Internet è la più grande fabbrica di posti di lavoro al mondo” (un tantino esagerato, perché sottostima la distruzione di posti di lavoro che il digitale opera, ma è sicuramente vero che ad un aumento della diffusione della banda ultralarga corrisponde un aumento del PIL, del prodotto interno lordo su cui si misura la politica economica del paese). Eppure lo stesso Silvio Berlusconi, quando divenne premier per la terza volta, ci disse che avrebbe puntato tutto sulle tre “i”, e una delle tre “i” era Internet.
A parole, sulla carta, siamo campioni del mondo della rete. Ma mentre a Singapore per scaricare dalla rete un film ci mettono in media 20 minuti, in Italia, la media è di 90 minuti, e ci sono molte zone, non necessariamente sul cucuzzolo di una montagna, dove siamo a livello dello Yemen (servono due giorni).
Naturalmente il tema non è scaricarsi legalmente i film dalla rete (che pure è cosa buona e giusta visto che alimenta una importante industria culturale). Il tema è cogliere finalmente le opportunità della rivoluzione digitale non creando due categorie di cittadini, i connessi e gli esclusi, ma un’unica Italia che metta tutti nelle stesse condizioni. Invece in questo momento la situazione è molto diversificata, troppo anzi, non solo fra alcune regioni e le altre, ma anche all’interno delle stesse regioni. Non è una impressione, lo dicono i dati che meritoriamente il governo pubblica in un formato “aperto” che consente a tutti di verificarli e studiarli.
A partire dai dati, oggi AGI inizia un viaggio nell’Italia della banda ultralarga e di quella parte del Paese che invece ne è esclusa. E vi chiediamo di partecipare. Siete fra i fortunati che hanno 100 megabit di connessione? Raccontateci com’è, cosa ci fate. Siete fra quelli che vivono senza rete? Vogliamo sentire anche le vostre storie. Scriveteci, a dir@agi.it. Intanto ogni giorno a partire da oggi con i giornalisti di AGI e il supporto del team di Formica Blu, cercheremo di raccontare l’Italia (dis)connessa.