Con una mostra sul delicato tema dell’immigrazione, tre anni e mezzo dopo l’attentato che ha provocato quattro vittime, riapre nel quartiere del Sablon il Museo ebraico di Bruxelles. Come tiene a precisare il presidente Philippe Blondin, nonostante la terribile traumatica esperienza del maggio 2014, l’attività del museo non si è mai fermata ma si è svolta in altri luoghi, in particolare con una mostra itinerante sulle relazioni fra comunità ebree e musulmane. E riaprendo le porte su una questione di attualità ma universale, anche se particolarmente cara alla cultura ebraica della diaspora, il Museo ha scelto di “aprirsi al confronto non accettando di chiudersi nella paura”.
A partire dal 13 ottobre nelle sale del bell’edificio ottocentesco di Rue des Minimes, in pieno quartiere ebraico, a due passi dalla Grande sinagoga, circondato da antiquari e locali, sono esposte foto, documenti, video e installazioni artistiche dedicati a “Bruxelles, terra di accoglienza”. Nella capitale belga e dell’Europa vivono persone provenienti da 184 diversi paesi: le ondate di immigrazione sono cominciate dalla fondazione del Regno, nel 1830, e continuano tuttora, quasi due secoli dopo. Oggi le nazionalità più rappresentate sono la francese, la marocchina, l’italiana; ma ognuna delle persone arrivate a vivere a Bruxelles ha la sua storia e la sua specificità ed è su queste differenze che puntano gli organizzatori.
L’attentato del 24 maggio 2014, il primo rivendicato dallo Stato islamico in Europa, inaugurò la serie sanguinosa proseguita nel gennaio dell’anno dopo a Parigi con Charlie Hebdo, poi a novembre con il Bataclan, e nel marzo del 2016 con il doppio attentato che, nuovamente a Bruxelles, ha provocato 32 vittime. In quella occasione, i media internazionali hanno messo sotto la lente la mancata integrazione della comunità marocchina-musulmana della città, in seno alla quale sono cresciuti i futuri terroristi. “Sembrava in quei giorni che Bruxelles avesse sbagliato tutto – ha detto la co-curatrice Chantal Kesteloot – per questo abbiamo voluto mostrare che ci può essere uno sguardo diverso sull’immigrazione, per superare i luoghi comuni”. Blondin ha ricordato che “gli ebrei sono stati i primi immigrati in Belgio: abbiamo un’esperienza di superamento di ostacoli all’integrazione che può essere condivisa. Abbiamo troppo in comune con gli immigrati di oggi perché non ci sia uno scambio”. Nonostante la sua lunga tradizione come destinazione di immigrati, Bruxelles non ha un museo dedicato al fenomeno. “Se ne era parlato una quindicina di anni fa ma il progetto è per ora stato accantonato – spiega il co-curatore Bruno Benvindo – chissà che questa mostra non possa ridargli slancio, trasformandosi in un embrione del futuro museo dell’immigrazione”.