Presto il link di questo articolo potrebbe essere illegale 
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Presto il link di questo articolo potrebbe essere illegale 
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La riforma, fortemente voluta da Gunther Oettingher, Commissario uscente del Mercato Unico Digitale e nuovo Commissario al Budget e alle Risorse Umane, è stata annunciata lo scorso 14 Settembre dalla Commissione Europea. Arrivata dopo 15 anni dall’ultima Direttiva Europea sul diritto d’autore (InfoSoc Directive), era attesa come la grande occasione per ammodernare un settore complesso che, dal 2001 a oggi, ha subito cambiamenti enormi, dovuti allo sviluppo dell’economia digitale e di internet.

Peccato che, nonostante le promesse di cambiamento, molte siano state le critiche sollevate da addetti ai lavori, accademici e organizzazioni che tutelano i diritti in rete. Da diverse parti, infatti, si ritiene che invece di aver presentato una versione aggiornata e innovativa, il testo della Commissione avrà ripercussioni sugli utenti, i lettori di notizie online, sulle piattaforme di social media, le startup, i ricercatori, insegnanti e molti altri.

Cos'è la link tax?

Uno degli articoli più discussi di questa riforma è l’articolo 11. Con questa norma si riconoscerebbe un nuovo diritto in capo agli editori, conosciuto ai più come Link Tax. Questi otterrebbero il diritto di farsi pagare da chi pubblica i link ai loro articoli ogni qualvolta questo link incorporasse uno snippet, ovvero un estratto della notizia. Oggi tutti i link che condividiamo sui social contengono un’anteprima con un’immagine e poche righe del contenuto dell’articolo. Una buona anteprima serve a portare più lettori a cliccare sul link e a leggere l’articolo e, di conseguenza, a ottenere più visualizzazioni e introiti pubblicitari.

Con la nuova Direttiva, sarà illegale pubblicare i link senza una licenza o un previo accordo tra le piattaforme come Facebook, Twitter o Google News e gli editori. Tale licenza durerà vent’anni dalla pubblicazione.

Ma c’era proprio bisogno di questo nuovo diritto?

Lo abbiamo chiesto a Eleonora Rosati, che insegna proprietà intellettuale all’Università di Southampton.

“La portata di questo nuovo diritto non andrebbe oltre quanto già previsto dalle disposizioni in materia di diritto d’autore, e nella maggioranza dei casi gli editori di giornali sono titolari dei diritti d’autore sugli articoli pubblicati. Tra l’altro, in alcuni stati membri UE (inclusa l’Italia stessa) la legge stessa prevede ab origine una presunzione di titolarità del diritto d’autore in capo a chi organizza e dirige l’opera collettiva, ossia l’editore (per l’Italia, vd Articolo 7Legge 633/1941). Questo proposto nuovo diritto andrebbe pertanto a colpire solamente le (rarissime) situazioni di giornalisti free-lance che non abbiano trasferito il diritto d’autore sui propri pezzi ai relativi editori.”

Il tentativo dei "Pirati" di salvare i link

La Commissione, da parte sua, ha garantito che questo non influirà sul modo in cui gli utenti stanno in rete e sui social. Peccato che quanto dichiarato, sul testo della Direttiva, non sia scritto. Pertanto, in mancanza di un accordo economico tra le piattaforme e gli editori, anche i privati cittadini potrebbero essere chiamati a rispondere. A confermarlo è la tedesca Julia Reda, unica rappresentante del Partito dei Pirati al Parlamento Europeo e vicepresidente del gruppo dei Greens/EFA: “L’insistenza di Oettinger nell’assicurare che la condivisione dei link non colpirà gli utenti è un tentativo di depistaggio. I link postati sui social network oggi includono automaticamente un frammento dell’articolo linkato, che la proposta di riforma vorrebbe fosse soggetto a una licenza ventennale dopo la pubblicazione. Nessuna eccenzion fatta per gli utenti. Di conseguenza, questa proposta renderebbe illegale condividere su facebook un link ad un articolo del 1996 in assenza di una licenza. L’affermazione di Oettinger è stata confermata dal Presidente Juncker nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, dove questi ha sottolineato il diritto degli editori a ricevere un compenso per le notizie diffuse, tanto quanto con una fotocopiatrice quanto con un link.”

Al Parlamento Europeo, Reda è infatti in prima linea nella partita per “salvare i link”. L’anno scorso fu nominata rapporteur per la riforma sul copyright, ovvero relatrice della linea politica del Parlamento nei confronti della Commissione Europea.

Scrive Reda sul suo sito:

“Il nuovo piano per i siti web di news limiterà la libertà d’espressione in internet e danneggerà i piccoli editori e le startup innovative. Alla fine nessuno ne beneficerà: le piattaforme web e gli utenti smetteranno di pubblicare link di notizie dei giornali europei che incorporino immagini ed estratti che servono a stimolare la lettura e quindi ad aumentare il traffico, ma che ora richiederanno un’ulteriore licenza. Mettere delle gabelle sulla via percorsa dagli utenti per arrivare a una notizia di un sito web europeo non impedirà il declino degli introiti dei giornali, ma condannerà alla rovina anche i loro contenuti digitali. I problemi dell’industria digitale non possono essere risolti con la riforma del copyright.”

In pochi mesi Reda è riuscita a unire europarlamentari di diverse bandiere e correnti politiche per dire con fermezza che la riforma, così com’è, non può essere votata. Per farlo ha abbracciato la campagna “Save the Link” realizzando due video, di cui l’ultimo è da poco online, che vede la partecipazione di parlamentari liberali, conservatori, democratici da Germania, Estonia, Polonia, Olanda e Regno Unito.

Non mancano tra questi anche ben due europarlamentari italiani, Brando Benifei (PD, gruppo S&D) e Laura Ferrara (M5S, gruppo EFDD), cui abbiamo chiesto un commento.

Un cavallo di Troia per il M5S

Ferrara, perché questa riforma non convince neanche voi, che siete nati dalla rete?

“Questa proposta è un cavallo di Troia. Vengono introdotte senza dubbio eccezioni condivisibili e in parte presenti nel report Reda, cui abbiamo partecipato con l’emendamento che prevede un’eccezione che consente di far circolare le opere presenti nelle biblioteche pubbliche.

Ma c’è anche dell’altro. L’Art. 11 introduce un nuovo diritto connesso per gli editori con efficacia retroattiva e durata ventennale. Un diritto che rischia di bloccare la rete e di introdurre forme di controllo. La stampa ha perso molto fatturato negli ultimi dieci anni ma questo è un rimedio peggiore del male. E poi non siamo così sicuri che gli autori meno conosciuti siano contenti di questi blocchi, che impediscono ai propri articoli di circolare liberamente.”

La riforma va modificata per il PD

Benifei, la Commissione ha detto che questa riforma aiuterà il mondo dell’informazione e favorirà la concorrenza, lei che ne pensa?

“Le attuali proposte della Commissione non farebbero che danneggiare le piccole realtà, andando a vantaggio esclusivo non dei giornalisti, che si pretende di voler valorizzare e remunerare, quanto piuttosto dei grandi operatori e aggregatori, gli unici in grado di sopportare i maggiori costi amministrativi e delle controversie che sorgerebbero con l’introduzione di un diritto d’autore “retroattivo”.
Senza contare il danno per gli utenti in termini di accesso all’informazione. È una riforma che va modificata in modo sostanziale, come noi cercheremo di fare in Parlamento.”

La Link tax infatti ha già mietuto delle vittime, i giornali stessi. In Spagna ha portato Google News a chiudere la sua versione locale e questo a sua volta ha causato un calo nel traffico verso i siti d’informazione spagnola. Questo perché Google ha deciso di non pagare la nuova gabella. Del resto gli aggregatori di notizie non sottraggono pubblicità ai giornali online, anzi, sono per loro una vetrina gratuita.
Purtroppo però, anche tutte quelle startup che hanno creato dei business partendo dall’aggregazione di news potrebbero non avere vita facile se la riforma fosse approvata così com’è.

Lo abbiamo chiesto a Lenard Koschwitz, direttore dell’ufficio di Bruxelles di Allied for Startups.

Koschwitz, in che modo questa riforma avrà un impatto sulle startup?

“La Commissione pensa che tutti gli editori beneficeranno della nuova “link tax” ma non è così. Invece di favorire la competizione, si danneggeranno i servizi innovativi che ancora non hanno i grandi numeri per competere con i grandi aggregatori di notizie. Le startup dovranno affrontare i costi delle controversie legali e saranno costretti a pagare per una licenza, oppure dovranno terminare i loro servizi. Questo, salvo una precisa volontà, difficilmente accadrà per i giganti tecnologici, che hanno ampie risorse per contrattare e per difendersi in sede legale.”

La riforma sarà discussa e votata in Parlamento non prima di Maggio. Per ora quindi la sfida con la Commissione resta aperta su tutti i fronti.

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