di Adolfo Tamburello*
Napoli, 18 mar.- Si sa che le strategie cinesi delle guerre restarono tenacemente fedeli dall’antichità al canonico “servirsi dei barbari contro i barbari” e in stretta osservanza del principio che “il nemico del mio nemico è mio amico”.
Nei secoli XII-XIII i Song (960-1279) ebbero più volte invano occasione di ricredersene. Una prima infelice esperienza la soffrirono alleandosi coi Jin contro i Liao fra il 1118 e il 1120. Il risultato fu sì che i Liao furono debellati nel 1125, ma i Song si trovarono in casa l’anno dopo i Jin, la capitale Kaifeng messa a sacco e la popolazione massacrata o tiranneggiata. Il Palazzo Imperiale andò distrutto e gran parte della corte (calcolata in 14 mila persone, da quella dell’imperatore e suo gineceo), tradotta in catene in Manciuria. I sopravvissuti furono venduti come schiavi, le donne nobili come concubine e serventi, i bambini appresso le madri o a loro strappati. Per esattezza gli imperatori deportati furono due, il già abdicatario Huizong, che morì ancora prigioniero nel 1135 (e la cui salma fu restituita nel 1142 a corollario di un intervenuto trattato di “pace”) e uno dei figli, il ventiseienne Qinzong, da un anno sul trono, che rimase a vita in ostaggio nella Manciuria settentrionale (morì nel 1161).
Nel frangente. a scatenare i Jin era stato l’imperatore Taizong (Wanyan Wiqimai, r. 1123-1135), furente dell’ingenuo tradimento orditogli da Qizong tentando di prezzolare due suoi ambasciatori, ex dignitari Liao, passati a lui con fedeltà. Inviò perciò un’armata di 150 mila uomini con gli ordini di fare terra bruciata di Kaifeng.
Fu quello il famoso “incidente di Jingkang” o, come fu pure chiamato, l’“umiliazione di Jingkang”, dal nome dell’era dell’anno 1127, 9 gennaio. Il fatto restò materia di ispirazione per poeti e scrittori, e sembra che l’alto numero di donne che si tolsero la vita per fedeltà ai loro uomini instaurasse in Cina la glorificazione del suicidio d’onore di vedove e spose per stupro o sotto minaccia di violenza. La donna si avviava ormai a vivere nei ceti alti e ricchi cinesi da moglie, concubina e madre in stretta clausura in casa e possibilmente coi piedi fasciati.
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Il resto dei Song che ebbe scampo riparò al Sud, dove l’autoproclamatosi Gaozong (1127-1162) ricostituì l’impero dei “Song meridionali” (1127-1279).
A distanza di un secolo, nel 1221, i Song si allearono a loro volta coi Mongoli contro i Jin. I Jin chiedevano invano di far lega comune contro i Mongoli; andarono distrutti nel 1234, e dal 1259 anche i Song passarono sotto il loro tiro e furono disfatti nel 1276 fra il ripetersi dei massacri e delle deportazioni, con la penosa fine degli imperatori bambini fra il 1278-79, dei quali l’ultimo deportato.
Ironia della storia fu che le sorti decisive dei Song contro i Mongoli – ora Yuan gengiscanidi - erano combattute sulle stesse navi che avevano fatto la loro gloria sui Jin, battuti nel 1161 nelle storiche battaglie di Tangdao e Caoshi. Kitan e Jin avevano pure i loro velieri, ma avevano poco potuto contro le navi dei Song con ruote a pale e armate di ordigni esplosivi e incendiari lanciati da catapulte. Eppure, a poco più di un secolo di distanza invano i Song rafforzavano contro gli Yuan le difese marittime con la loro vigile guardia costiera.
Gli Yuan finivano con l’ereditare dai Song, oltre alla loro flotta da guerra, gli arsenali ricolmi dei più moderni armamenti a livello mondiale ed erano solo gli ultimi a goderne in ordine di tempo, dopo che Liao, Xi Xia e Jin se ne erano impadroniti anch’essi alle loro irruzioni e conquiste, mentre continuavano ad avvalersi di generali e alti ufficiali di nazionalità cinese nativi già dei territori di recente occupazione o passati tra le loro file. Costoro combattevano senza apparente imbarazzo a fianco dei nuovi commilitoni valenti quanto o più di loro, solo forse stupiti che fossero equipaggiati di elmi e armature di maglie di ferro e di armi altrettanto efficienti. I cavalieri montavano cavalcature fresche prima delle cariche e i cavalli erano protetti anch’essi da corazze. Stupore ai Cinesi dava tutto l’apparato bellico che i “barbari” mettevano in campo con mandrie di cavalli al loro seguito per i ricambi, carichi a dorso di cammelli e carri tirati da buoi con salmerie provviste di vettovaglie, armi di supporto, attendamenti e attrezzature per eventuali assedi, catapulte comprese alla cui fabbricazione e uso li addestravano gli stessi cinesi passati volenti o nolenti dalla loro parte e fra costoro artificieri, fonditori e fabbri. Di più, veloci servizi di posta, spie ed esploratori in avanguardia, sistemi di segnalazioni a lunghe distanze, mezzi anfibi, infine fanterie o masse di appiedati composte per lo più di coscritti e prigionieri cinesi da esporre nelle prime linee o negli assedi delle città. Erano costoro a mettere talvolta in crisi i generali e gli alti ufficiali cinesi che avevano voltato le spalle ai propri connazionali.
Un fatto enigmatico dei Song è che non risulta si alleassero mai con gli Xi Xia contro i Jin e un secolo dopo contro i Mongoli, consentendo senza muovere dito che gli uni e gli altri li sottomettessero, i primi nel 1124, i secondi nel 1227. Forse i Cinesi non li consideravano più “barbari”.
I Song non furono precursori di un pacifismo a oltranza, come alcuni storici interpreterebbero: è vero che smobilitarono ripetutamente gli eserciti e che ancora agli inizi della dinastia, intorno al 975, mantennero in armi solo 378 mila uomini, ma le cifre tornarono presto a salire: 900 mila nel 1017, 1.259.000 nel 1045: eserciti anzi pletorici, di uomini allineati in battaglia spossati dalle lunghe marce e prolungati digiuni; cavallerie sfibrate anch’esse al momento delle cariche.
La politica bellica dei Song (960-1279) rimane ancora oggetto di studio in tutte le sue contraddizioni vere o apparenti. Pur fondata da un combattivo e stratega generale di carriera, Zhao Kuangyin (Taizu, r. 960-975), non brillò per successi o azioni di guerra quanto per alti vertici di vita intellettuale e artistica e lo stesso suo fondatore per doti di moderazione, indulgenza e generosità verso il nemico.
A Taizu e al fratello che lo seguì sul trono si dovettero le prime anzidette smobilitazioni di eserciti e i pensionamenti o rimozioni di generali e alti ufficiali secondo un piano di consolidamento della centralizzazione del nuovo stato dinastico al riparo dalle ‘satrapie’ militari di vecchia esperienza. Ai vertici, una burocrazia civile reclutata in gran parte fra i vecchi “Dieci Regni” di ultima sottomissione e poi rinnovata per lo più dai ceti benestanti dei possidenti terrieri e di quelli imprenditoriali o mercantili urbani, con accessi su raccomandazioni fideiussorie o adesso più sistematicamente attraverso esami. Forse troppo prematura per i tempi la soprintendenza affidatale anche agli affari di guerra: dal 1111 gli alti comandi militari erano aperti persino agli eunuchi di corte. Si rivelavano magistrature inclini piuttosto ai negoziati di tributarietà fino al vassallaggio dei propri dinasti (coi Jin dal 1142 al 1165) che non a prove sul campo e pure a risparmio, più che di uomini, di braccia.
D’altra parte, l’agricoltura cinese era un’economia fragile con la sua ormai dominante risicoltura intensiva e annesse produzioni di fibre tessili, ora in regime di piantagione per il cotone. Il bisogno di manodopera sollecitava un costante pieno demografico a livello rurale con il minor esodo possibile di braccia dai campi; da qui i limiti ai reclutamenti e alle periodiche restituzioni di militari alla terra. Lo richiedeva anche la piccola proprietà contadina, fonte elettiva del fisco. Di converso su questa continuavano a gravare le corvè e le milizie locali adibite all’ordine pubblico, e l’onere sulle famiglie contadine saliva al punto da far loro alienare i propri fondi a favore dei grandi possidenti immuni da tasse o facili alle evasioni, depennandosi così dai registri fiscali.
Di più, la Cina storica a popolamento Han si era mantenuta deficitaria di equini e bovini, oltre che di greggi. La sua agricoltura “pura” aveva mantenuto scarsi gli allevamenti di bestiame e poche le terre adibite a pascoli, per cui continuavano a soffrire anche le comunicazioni e i trasporti e molto lavoro permaneva sulla forza umana a spalla o a mano.
Si rivelava vano tentare di far fronte all’inferiorità delle proprie cavallerie con equipaggiamenti di animali regolarmente e frettolosamente acquistati a decine di migliaia (presso gli stessi allevatori in prospettiva da combattere) e governati o addestrati in stalle o su prati, con personale equestre altrettanto improvvisato.
18 marzo 2015
Nella foto: "I quattro generali di Zhongxin" di Liu Songnian (dinastia Song)
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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