Di Adolfo Tamburello
Napoli, 03 apr. - Sarà gradita ai lettori di AgiChina e più in generale ai sinologi e cultori di poesia cinese la presentazione di un'antica antologia giapponese, tradotta per la prima volta in italiano, contenente tante poesie in cinese che forse non sono mai state neppure tradotte nella nostra lingua. E questo potrebbe dare lo spunto a qualche ricerca da fare… Si tratta dell'opera: Fujiwara no Kinto, Wakanroeishu. Raccolta di poesie giapponesi e cinesi da intonare, a cura di Andrea Maurizi e Ikuko Sagiyama (Milano, Edizioni Ariele, 2016).
Due autori e curatori sicuri: Andrea Maurizi, docente di giapponese all'Università di Milano-Bicocca, Ikuko Sagiyama, di Lingua e letteratura giapponese in quella di Firenze, traduttrice di varie antologie poetiche giapponesi, entrambi dotati di brillante padronanza del cinese classico.
La traduzione dell'opera che presentiamo è importante anche per chi si accingerà un domani a scrivere una storia della letteratura cinese: avrà il destro di includervi testi tratti da fonti giapponesi, in attesa che in un futuro non lontano lo si possa fare anche da fonti coreane, vietnamite ecc. La lingua cinese, come del resto si sa, fu fino all'età moderna una lingua internazionale più ancora del latino da noi, e furono tanti e più a lungo i paesi cresciuti nelle lettere col supporto della classicità cinese e i loro prosatori e poeti che preferivano scrivere in cinese piuttosto che nella propria lingua. In Giappone addirittura si sono trovate molte opere andate perdute o dimenticate in Cina, e sarebbe di vivo interesse cogliere in questa antologia poesie cinesi non rimaste neppure conosciute nella patria d'origine dei loro autori. Ma bisognerebbe prima accertare che fin dall'antichità non vi sia stata già qualche edizione cinese dell'antologia in questione, dato che anche i cinesi seguivano molto da vicino la produzione letteraria giapponese come non diversamente continuano a seguirla oggi.
L'autore dell'antologia, Fujiwara no Kinto (966-1041), alto funzionario della corte Heian e insigne letterato e poeta, si dedicò a comporre opere antologiche dopo che dal 1026 si era ritirato dagli uffici e aveva abbracciato la vita religiosa da monaco buddhista. Il Wakanroeishu precede gli anni della senilità dell'autore e fu composto fra il 1004 e il 1020 forse come dono di nozze. Nel capitolo introduttivo "Una raccolta poetica per istruire e intrattenere la nobiltà di corte" Maurizi (autore delle traduzioni cinesi) segnala: "L'antologia, pur risultando formata dalla successione di versi scritti in due lingue, si distingue per la netta superiorità numerica dei componimenti in cinese rispetto a quelli in giapponese, che rappresentano più o meno soltanto un quarto del materiale poetico dell'antologia". Naturalmente molte poesie in cinese erano di autori giapponesi; i poeti cinesi che vi figurano sono circa una trentina e quelli che più vi ricorrono sono in maggioranza dell'epoca Tang (618-907) e comprendono grandi nomi del mondo letterario cinese dell'epoca come Bai Juyi (772-846) e Yuan Zhen (779-831); seguono Xu Hun (791-c.845), Wen Tingyun (812-879), Zhang Xiaobiao (dell'VIII-IX secolo), Du Xunhe (846-907). Mancano Du Fu (712-770) e altri nella preferenza data alla scuola di Bai Juyi. Maurizi spiega: "Probabilmente ciò accadde per una serie di concause: la consapevolezza dei giapponesi del grande successo riscosso in Cina da Bai Juyi, la relativa semplicità della sua lingua, gli elementi buddhisti di molte sue rime, le forti similitudini riscontrabili tra le sue descrizioni della società Tang e quella del Giappone del periodo Heian e, soprattutto, la varietà e il carattere innovativo dei temi proposti nei suoi componimenti".
"Il materiale poetico dell'antologia" informa ancora Maurizi "rappresenta un compendio delle composizioni in cinese e in giapponese più conosciute e amate dalla nobiltà di corte, i cui membri, come testimoniato da numerosi brani inclusi nelle più importanti opere letterarie dell'epoca, erano soliti intonarle – con o senza accompagnamento musicale – non soltanto nel corso di feste pubbliche e private ma anche in ogni momento della vita quotidiana". Si spiega così il titolo dell'opera.
È pure interessante che l'antologia fu valutata nella sua importanza già nel Seicento dai nostri gesuiti in Giappone e scelta fra le opere classiche giapponesi e cinesi per esservi parzialmente stampata (forse a Nagasaki proprio nel 1600) fra i testi a uso degli allievi dei loro seminari che potevano essere di nazionalità giapponese come cinese. Ne scrive Adriana Boscaro nel II capitolo introduttivo su "I gesuiti e la stampa a caratteri mobili in Giappone" sulla base della documentazione offerta da un esemplare unico dell'opera salvatosi nella Biblioteca San Lorenzo dell'Escorial di Madrid.
Tutte le poesie tradotte dell'antologia sono date anche in caratteri e con le trascrizioni in giapponese e l'indicazione delle fonti a fine libro; correda l'elegante volume un glossario e un indice bene informativo dei poeti rappresentati sia cinesi che giapponesi.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
03 APRILE 2017
@Riproduzione riservata